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Sunday View

L’Arabia Saudita non ha più soldi

A furia di finanziare i suoi appariscenti piani d’investimento, si è ritrovata a corto di liquidità. I proventi del petrolio non bastano più, e comincia così a indebitarsi. Quali sono i motivi e i possibili scenari?

di Lorenzo Cleopazzo 25 Febbraio 2024 09:30
financialounge -  Arabia Saudita mercati sunday view

Fossimo in un cartone animato, o in un fumetto, quel luccichio che spunta tra le dita del protagonista farebbe un suono ben definito. Un’onomatopea delle più classiche e più riconoscibili, l’origine di una parabola che si concluderebbe immancabilmente con un’altra onomatopea.

“Dling” e “splash”. Ecco, questi sarebbero i due suoni. Avete letto bene: “sarebbero”, perché a volte al primo non consegue il secondo. A volte, anziché uno specchio d’acqua trasparente, c’è una pozza nera, e allora l’onomatopea assomiglierebbe più a qualcosa tipo “blup”. Altre volte, invece, non c’è proprio niente, e allora il “dling” iniziale si ripercuote contro le pareti di roccia, fino a che l’eco non l’accompagna sulla superficie asciutta del fondale.

Se fossimo in un cartone animato, o in un fumetto, questa scena si svolgerebbe sul bordo di un pozzo dei desideri, con il protagonista che lancia una monetina sperando che ciò che sogna si avveri. Nella realtà, il pozzo dei desideri saudita era pieno di petrolio, e anziché buttarci dentro le monetine, questo le sputava fuori. Oggi però, se guardassimo dentro quel pozzo, rischieremmo di vedere il fondo.

Allora proviamo a darci un’occhiata, vi va?

DUE SPICCI


Il principe ereditario Mohammed bin Salman ha grandi progetti per l’Arabia Saudita, e tutti che attingono a piene mani dal Public Investment Fund (PIF), il fondo sovrano nutrito dai finanziamenti del petrolio. Grazie a questa miniera d’oro, lo stato saudita ha acquistato società sportive in giro per il mondo, ha ospitato grandi eventi di ogni genere, e sta dando vita a progetti tanto futuristici quanto criticati come quello della città di Neom – una metropoli sviluppata per lungo in mezzo al deserto –, o di una nuova modernissima downtown in Riyadh. C’è un unico, piccolissimo, fastidioso problema: il fondo ha finito i soldi.

Il PIF ha visto scendere i propri livelli di liquidità ormai da qualche mese, cosa che, secondo il Wall Street Journal, dovrebbe portare i sauditi a intraprendere una strada che hanno sempre voluto evitare: vendere delle quote azionarie dell’enorme azienda petrolifera statale, la Saudi Aramco.

L’Arabia Saudita è sempre stata una potenza del greggio, possedendo il 17% delle riserve conosciute e la grandissima parte delle esportazioni globali, ma ora si trova nella difficile situazione per cui il suo pozzo dei desideri si sta prosciugando. Una cosa incredibile per un fondo da 700 miliardi di dollari in investimenti, anche se forse il motivo è da ricercarsi nel folle ritmo di spesa - 32 miliardi solo nel 2023 – che lo ha reso il più attivo sulla piazza. Il motivo di tanto affanno non è solo da ricercarsi nei progetti finanziati, ma anche in un arresto della crescita del prezzo del petrolio, che si è mantenuto oscillante tra i 77 e gli 81 dollari al barile contro gli 86 previsti. L’Arabia Saudita si è trovata così costretta a colmare un gap inaspettato, emettendo a sorpresa ben 12 miliardi di dollari in titoli di stato, e facendo vendere obbligazioni al PIF per 5 miliardi.

Che sia finita l’epoca d’oro – nero – di uno dei Paesi più ricchi al mondo?

UN APPROCCIO DISCUTIBILE


Da una parte una monarchia moderna, il cui strapotere economico sta – forse – cominciando il suo declino, o quantomeno una fisiologica fase d’assestamento; dall’altra una monarchia antica, che all’alba del XVII secolo ha vissuto tantissime rivoluzioni economico-sociali, fino a diventare il più grande regno borghese dei libri di storia. Il crescente strapotere economico dell’Inghilterra del ‘600 coincide con un’evoluzione del sapere, con la filosofia che vuole unire etica, economia e scienza sotto un unico cappello “politico”, per così dire. L’esempio più luminoso e più studiato di questo momento storico è senz’altro Thomas Hobbes. Uno dei pizzetti più simpatici dei libri di filosofia è anche l’autore di uno dei testi più apparentemente enigmatici della storia del pensiero: Il Leviatano.

In questo suo testo, il filosofone inglese ci dice sostanzialmente due cose: punto primo, l’uomo, senza uno stato, sarebbe in preda al caos; punto secondo, per tutelarsi dall’anarchia, gli uomini devono accettare un “patto di sottomissione” verso chi detiene i poteri dello stato, ovvero il re-Leviatano. Allo stato naturale delle cose, quindi, l’essere umano sarebbe un animale selvaggio, pronto a sbranare i suoi simili. La forma di aggregazione in uno stato, però, gli permette di controllare questi istinti. Come? Rinunciando a tutti i propri diritti e donandoli a un ente sovra-popolare, che avrebbe poi elargito al popolo col contagocce. Certo che, detta così, Hobbes non fa proprio un figurone agli occhi di noi moderni, ma tentiamo di rileggerla in una chiave più utile all’argomento del Sunday View di questa settimana, okay?

VISION (?)


Il Leviatano di hobbesiana memoria è molto più presente e attuabile di quanto ci si possa aspettare. Il solo fatto di parlare di un “fondo sovrano” dovrebbe far balenare in mente qualche parallelismo, non tanto per quell’aggettivo – “sovrano” –, quanto per la potenza che questo strumento esercita nei confronti dell’economia del Paese stesso. Anzi, la monarchia assoluta che promuoveva Hobbes – perché, alla fine, di questo stiamo parlando –, nella dialettica del filosofo aveva tanti risvolti positivi, perché mirava proprio al bene dello stato che governava. Allo stesso modo dovrebbe fare un fondo sovrano come il PIF, che, tralasciando scelte d’investimento etiche ed ambientali discutibili, ha come obiettivo principale il finanziamento del piano Vision 2030.

Questo progetto è l’insieme di riforme presentato da Mohammed bin Salman – il principe ereditario che abbiamo nominato all’inizio, quello delle città in mezzo al deserto, per intenderci – che mira a una diversificazione dell’economia saudita in 5 anni. Con la dipendenza dal petrolio del Paese che sta iniziando a pesare sulle casse arabe, e si sta tramutando in debito, il percorso segnato da Vision 2030 prevede almeno duemila miliardi di dollari d’investimenti. Mica male per un moderno leviatano economico, dato che tutti questi investimenti dovrebbero portare l’Arabia Saudita a essere uno degli stati più futuristici del futuro. Prima, però, deve stare attenta a non appesantirsi troppo dai debiti.

BONUS TRACK


Comunque, checché se ne dica, va bene che Hobbes ha scritto del Leviatano in modo tanto fiducioso, ma abbiamo i nostri dubbi che, se avesse lanciato una monetina in un pozzo dei desideri, avrebbe espresso la volontà di perdere tutti i suoi diritti.
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