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Scontri nel Mar Rosso: l’economia italiana è davvero a rischio?

L’Italia è interessata direttamente da un problema geopolitico ed economico, con risvolti importanti sulle nostre importazioni ed esportazioni. Come cambia ora la situazione del Paese e cosa succede alla nostra economia?

di Lorenzo Cleopazzo 28 Gennaio 2024 09:30
financialounge -  economia Mar Rosso sunday view

È un aggettivo che associamo solo ed esclusivamente a un campo semantico ben preciso. Una parola che nei suoni richiama qualcosa di sgradevole, ma, nell’idea che abbiamo di essa, ci riporta a immagini ben più piacevoli. “Salmastra” è l’aria che sa di mare, è l’ossigeno che respiriamo sulle spiagge illuminate dalle stelle, è l’atmosfera di una stagione che è ancora di là da venire. Ma che origine ha questa parola? Viene dal francese antico, ma prima ancora dal latino. Ma prima, prima, prima ancora, quasi certamente è nata dall’idioma Indoeuropeo. Sì perché l’origine delle lingue è molto più comune tra oriente e occidente di quanto non si creda. Suoni e vocaboli uniscono il mondo un po’ come il mare, e l’aria che si respira sulle coste indiane è salmastra come quella che inala un uomo su una scogliera inglese.

Una connessione – quella linguistica – che ormai si è un po’ persa, mentre un’altra – quella economico-commerciale – che ormai è un fatto ben radicato.

Nel Sunday View di questa settimana analizziamo la situazione dell’import-export italiano a seguito delle vicissitudini nel Canale di Suez, dai numeri non proprio incoraggianti alle soluzioni storiche non proprio replicabili.

La rotta è tracciata: alla via così!

MADE IN ITALY A RISCHIO?


Rosso o non Rosso? La domanda è quella che rimbalza ai piani alti di ogni compagnia di navigazione in questo momento storico. Con i recenti attacchi degli Houthi ai mercantili nel mare tra nord-Africa e Medio Oriente, solcare quelle rotte è diventato incredibilmente pericoloso e i costi assicurativi per le società si sono impennati. Un’alternativa alle problematicità nate dalle tensioni scatenate dai ribelli yemeniti, e i conseguenti bombardamenti Usa-Uk alle loro postazioni, sarebbe la circumnavigazione del continente africano, ma anche qui i prezzi andrebbero alle stelle per via degli elevati consumi.

Secondo i dati, a seguito dell’inizio degli attacchi di novembre, il numero di navi transitate per il Canale a dicembre 2023 sarebbe di 2.089 unità, contro le 2.160 dello stesso mese 2022. A tutto questo, poi, aggiungiamo che per il Mar Rosso transita circa il 12% delle merci globali, oltre che gran parte del commercio euroasiatico. E il primo accesso a queste rotte sono le coste dell’Italia.

Il 40% del nostro import-export via mare passa proprio dal Canale di Suez, per un valore di 154 miliardi di euro. Vien da sé che una situazione simile porta a possibili ripercussioni sull’economia del nostro Paese: il danno non sarebbe dato solo dal costo aumentato dei trasporti, ma anche dall’allungamento dei tempi di consegna delle merci, che nel caso di una rotta attorno all’Africa si dilaterebbe di circa 20 giorni.

Un esempio concreto e sensibile è il mercato ortofrutticolo, per cui l’Italia esporta in Medio Oriente e nel Sud-Est asiatico rispettivamente circa 150mila e 80mila tonnellate di prodotti, ovvero oltre 300 milioni di euro complessivi in valore. Il prolungarsi delle consegne comporta un rincaro di circa 1500 dollari a container, senza contare il deperimento della merce che ha mandato in malora mediamente 100 tonnellate di cibo a settimana.

Merci in ritardo, cibo che va a male e prezzi che salgono. Tutto per un blocco del commercio marittimo via mare. Ci ricorda qualcosa? Eppure è una situazione che abbiamo già sperimentato, anche se forse non ce lo ricordiamo.

MARE NOSTRUM


E del resto come potremmo ricordarcelo, dato che è avvenuta alla fine del VII secolo dopo Cristo?

La penisola italiana è sempre stata un territorio strategico per il commercio, e tutta quest’abbondanza di coste è sempre stata croce e delizia della nostra storia, e lo sapeva bene l’imperatore Nerone. Di lui e della situazione economica di Roma durante il suo regno abbiamo già accennato nel terzo numero di Sunday View, quello di Natale 2022, parlando dell’inflazione nell’Impero. Questa settimana, però, andiamo a scoprire uno degli scossoni che il – si fa per dire – buon Nerone ha dovuto fronteggiare: quello della prima Rivolta Giudaica.

Nell’allora provincia romana della Giudea, i rapporti con i romani non erano proprio rosei. Un giorno succede che, per un problema di tasse, i coloni si ribellano e il procuratore della regione manda i soldati. La conta delle vittime è altissima, la rabbia che monta a Gerusalemme pure. Nel 66 si accende una miccia che continuerà a bruciare fino al 70, con tensioni e disordini che trovarono terreno fertile in altre province, tra cui l'Egitto. Il celebre ‘granaio dell’impero’, da cui dipendevano le pagnotte sulle tavole di mezza Roma, vede calare le sue esportazioni proporzionalmente all’aumento delle tensioni nel nord Africa e nel Mediterraneo, con relativi aumenti dei prezzi dalla Sora Lella ante litteram.

Come si risolse la situazione? Economicamente, iniziando a ridurre l’argento presente nel denarius – la moneta romana –, dando così il via a una violentissima inflazione di decenni; politicamente, sedando le rivolte con la forza.

Due strade che oggi eviteremmo tutti.

UN MONDO CONNESSO


Ma allora il Made in Italy è davvero a rischio? La domanda sarà venuta a chi sta leggendo questo pezzo, così come magari ha già letto o sentito altri approfondimenti sul tema. La risposta è un timido, mugugnato, tiepido, insicuro “ni”. Visti i numeri snocciolati prima, è chiaro che i problemi legati al trasporto marittimo incidono sull’economia delle nostre imprese – e su tutto ciò che a loro è annesso e connesso – tuttavia, a differenza del sistema commerciale sotto Nerone, il commercio del Mediterraneo non è accentrato tutto su Roma. Oggi non ci sono monopoli politici ed economici sulla cartina, su cui si accentrano le ricchezze dei momenti migliori e i problemi di quelli peggiori; no, oggi le difficoltà oggi sono condivise come le opportunità. Cosa significa? Significa che la cosa migliore per i commerci, secondo molti attori dell’impresa italiana, sarebbe trovare una valvola di sfogo in Europa. Banalmente: se verso sud-est c’è un ingorgo, è meglio prendere un’altra strada. Non solo per noialtri, ma per tutti: del resto un container pieno di mele della Val di Non spesso viaggia su navi varate – chessò – a Copenaghen.

BONUS TRACK


È vero, è facile dire che bisogna facilitare lo sfogo dell’export; molto più facile che farlo, dato che logicamente tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Ma forse questo non è proprio il modismo più adatto, ora.
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