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Torna l’allarme debito, tensioni sullo spread, Italia e anche gli USA devono adeguarsi

Spendere in deficit non è più un pasto gratis ma un passato che non ritorna, per questo i mercati sono sempre più attenti al costo del debito pubblico e pronti a sanzionare chi lo lascia andare fuori controllo

di Virgilio Chelli 2 Ottobre 2023 08:08
financialounge -  Bulletin debito pubblico mercati spread

Il debito pubblico italiano è sostenibile, purché ci sia un piano di spesa che convinca chi lo compra che i soldi andranno alla crescita. L’avvertimento mandato al governo dal governatore di Bankitalia Visco dopo che lo spread di rendimento tra BTP e Bund è andato a toccare i 200 punti riecheggiano quelle di Mario Draghi quando era a Palazzo Chigi al posto di Giorgia Meloni. Due punti percentuali non sono tanti se paragonati ai picchi dello spread nella crisi del 2011 o del 2018-20, quando si parlava con spensieratezza di exit strategy e mini-bond sganciati dalla moneta unica e intanto si spendeva a manetta per reddito di cittadinanza e superbonus. Ma c’è una differenza importante, da allora il ‘pavimento’ dello spread si è alzato come in un movimento tellurico, con il rendimento del Bund salito quasi al 3% da zero o addirittura sotto, il che vuol dire per il debito italiano che punta a 3.000 miliardi tra due anni un costo salito vicino al 5%.

ALLONTANATO LO SPETTRO DELLO SHUTDOWN MA IL DEBITO RESTA


Se sui media italiani lo spread fa titolo, su quelli internazionali, che ovviamente ne parlano, spunta anche un allarme sul debito federale USA. Qui la parola chiave non è spread ma shutdown, lo spettro di un blocco della spesa dell’Amministrazione che torna solo un paio di mesi dopo l’ultimo psicodramma al Congresso, evitato ancora una volta in extremis mettendo una ‘pezza’ fino a metà novembre. Ma il problema è quello che c’è sotto, come ha spiegato l’Economist, vale a dire rendimenti in salita verticale chiesti dagli investitori per comprare un debito che sfiora il 100% del PIL, schizzato da 230.000 miliardi di dollari pre pandemia ai 330.000 miliardi di oggi, e che era sotto quota 100.000 prima del Quantitative Easing post Lehman. Vuol dire che il costo del debito supererà la spesa per la difesa nel 2030 e 20 anni dopo si mangerà metà del gettito fiscale federale. Il deficit pubblico che corre è sicuramente un fattore che spiega la resilienza dell’economia USA, ma è anche un freno a mano tirato per un ribasso dei tassi da parte della Fed, visto che crea inflazione.

MA GLI USA HANNO LE SPALLE MOLTO PIÙ LARGHE


Ovviamente, gli USA hanno le spalle infinitamente più larghe dell’Italia, non devono fare i conti con gli altri Paesi dell’Unione, non hanno vincoli di bilancio scritti in un trattato come quello di Maastricht, e soprattutto hanno l’arma atomica, che se si parla di economia e finanza si chiama dollaro. Ma alla fine le contorsioni politiche sul debito federale qualche preoccupazione la trasmetteranno anche a Wall Street, perché se continua a dominare la convinzione che alla fine il deficit federale conta poco, Washington si troverà con la spiacevole conseguenza di dover scegliere tra un brusco passaggio dalla spesa allegra all’austerity o costringere la Fed a forzare la disciplina fiscale tenendo i tassi più alti più a lungo, con conseguenze per l’economia e alla fine sui conti delle imprese che sono quotate sul New York Stock Exchange. L’imminenza di un anno elettorale che si preannuncia turbolento non aiuta.

ITALIA DI FRONTE A RISCHI E OPPORTUNITÀ NELL’ANNO ELETTORALE EUROPEO


Anche l’Europa si prepara a un anno elettorale, ulteriore occasione di possibili scivoloni del governo italiano, ma anche opportunità di correggere il tiro, non tanto in termini di provvedimenti immediati, che sono più o meno passaggi obbligati, ma di creazione di aspettative. Nell’immediato la partita più importante riguarda il nuovo Patto di Stabilità che dovrà sostituire quello sospeso a inizio 2020 causa pandemia. Da noi fu vissuto come un ‘liberi tutti’, prima che arrivasse Mario Draghi a mettere ordine, con le conseguenze che ora si pagano in termini di deficit e costo del debito. I tassi quasi zero e gli acquisti della BCE potevano forse essere sfruttati anche per un massiccio rifinanziamento del debito a condizioni estremamente favorevoli. Un nuovo Patto più attento alla crescita e meno al rigore nominale non è malvisto dagli altri grandi partner, come Francia, Germania e Spagna, ma non va negoziato con l’elmetto in testa.

ALLA FINE IL FATTORE DRAGHI POTREBBE TORNARE A AIUTARE


Ad esempio, l’idea dello scambio tra firma del Mes, il Fondo salva Stati tanto temuto da Meloni, e un Patto più flessibile, è sbagliata. L’adesione al Fondo deve essere un atto unilaterale senza contropartite, e poi ci si siede al tavolo delle nuove regole di finanza pubblica in un clima più sereno e di fiducia. Come successo fortunatamente negli ultimi 20 a passa anni, molte speranze sono riposte in Mario Draghi, la cui competenza e autorità morale riconosciute in Europa potrebbero trovare modo di tornare ad essere disponibili per l’Italia e tutta l’Unione con il nuovo incarico che gli ha affidato Ursula von der Leyen per formulare una strategia di rilancio della competitività del vecchio continente, effettivamente logorata, che potrebbe essere al centro del nuovo Patto.

BOTTOM LINE


Dopo un decennio forse irripetibile di denaro a costo zero grazie anche all’assenza di inflazione, si è tornati alla normalità, non senza scossoni. L’assestamento durerà ancora, costringendo l’investitore a guardare al lungo termine. Che vuol dire azionario, puntando sulle mega forze al lavoro di digitalizzazione, transizione energetica e cambiamento demografico, con il giusto bilanciamento di reddito fisso per sopportare meglio l’inevitabile volatilità, proprio come una volta
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