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Yellen in Cina: gli Usa tentano l’accordo su microchip e non solo

Il Segretario del Tesoro americano è volata a Pechino con la volontà di trovare dei punti in comune per lo sviluppo delle reciproche economie e non solo. I temi in gioco sono tanti e sono caldi, si delinea la volontà di sedersi attorno a un tavolo comune?

di Lorenzo Cleopazzo 9 Luglio 2023 09:30
financialounge -  cina Janet Yellen mercati sunday view

Un intervallo di ottava. Nulla di più, nulla di meno.

Questo era ciò che stava a indicare la parola “diapason” per gli antichi greci, prima che diventasse quella forchetta in acciaio usata per dare il La – letteralmente – a strumentisti e cantanti. In poche parole, uno strumento per trovare l’accordo. Una visita di quattro giorni. Nulla di più, nulla di meno.

Questo è che ciò che Janet Yellen si era messa in agenda, rimandando call e appuntamenti vari a quando sarebbe tornata dalla Cina. Cosa è andata a fare? “A costruire ponti”, nella più rosea delle aspettative. In poche parole, una missione per trovare degli accordi. E di certo non è semplice come far risuonare un diapason, ma vale la pena tentare.

MICROCHIP E MACROPROBLEMI


Sì perché non è cosa da poco riuscire a mettere d’accordo due parti che negli ultimi tempi si sono guardate in cagnesco. Non è una cosa che si risolve con una bella pacca sulla spalla e amici come prima, ecco. Stati Uniti e Cina ne hanno di temi su cui trovare un accordo, a partire dall’annosa questione dei microchip, che tira in ballo anche Taiwan e tutto ciò che vi è collegato, passando poi per le questioni legate alla sicurezza internazionale, alla crescita economica dei due Paesi e, perché no, magari anche collaborare su temi come il cambiamento climatico.

I mercati hanno accolto la partenza della Yellen con un bel più 2.2% sulla Borsa di Hong Kong appena il giorno dopo l’annuncio di questo viaggio, un viaggio che arriva poco dopo quello fatto da Antony Blinken, quando il Segretario di Stato Americano ha voluto cercare di riavvicinare le due sponde dell’oceano.

Ora Yellen, Segretario del Tesoro Usa, ci parla di ricostruire ponti tra i due Paesi, e forse non è un caso: ché nei cieli Xi Jinping non vuole assolutamente veder volare aerei militari russi carichi di ordigni atomici. Il presidente cinese aveva già ammonito Putin a marzo, ma la ferma presa di posizione di questa settimana, unita alle visite americane, potrebbero far saltare il banco asiatico. Forse anche per questo da Washington si vuole spingere sull’acceleratore, che se da una parte vuole limitare la dipendenza dai microchip cinesi – dallo scorso anno alla Casa Bianca si parla di milioni di dollari di aiuti all'industria nazionale dei semiconduttori -, dall’altra si vogliono anche ridurre gli attriti con Pechino.

LA PARTE DEL LEONE


Siamo agli inizi di un caldo luglio come questo, ma nel 1515. Il periodo non è proprio dei migliori tra il papato e la Francia. Da anni il clero d’oltralpe riconosceva al proprio monarca il controllo dei diritti della Chiesa nazionale, e questa cosa andava un po’ di traverso in Vaticano. Ora però a Roma e Parigi sono cambiati i protagonisti, e in quel giorno di luglio, davanti al nuovo re di Francia Francesco I, sta dando sfoggio di sé un ospite particolare: un leone.

Un leone di legno, però. Un automa coperto da una folta pelliccia e mosso da aste e carrucole in modo tale da renderlo quasi reale. Un leone che non appena giunge ai piedi di Francesco, apre la sua criniera e lascia cadere una pioggia di gigli bianchi: il fiore che accomunava la corona di Francia con Firenze, la città che diede i natali al papa di allora. Lui si chiamava – guarda caso – Leone X, nato Medici, ed ebbe la brillante idea di commissionare ‘qualcosa di bizzarro’ a nientepopodimeno che Leonardo da Vinci.

Oggi sappiamo che è anche grazie a questo ‘qualcosa di bizzarro’ che due regni, da tempo in contrasto, sono riusciti a sedersi a un tavolo comune per firmare un accordo, con un concordato – quello di Bologna del 1516 – che durerà per circa due secoli, fino alla Rivoluzione Francese. Ma questa è un’altra storia.

TASSELLI


“Una piena separazione delle due economie sarebbe disastrosa per entrambi in Paesi” aveva detto Yellen ad aprile, e proprio questa sembra essere un po’ la linea presa dai governi di Cina e Stati Uniti, nonostante le stilettate diplomatiche ed economiche tirate in questi ultimi tempi. Nella giornata di venerdì, invece, lo stesso Segretario del Tesoro americano ha invitato Pechino a collaborare con l’Occidente, sottolineando anche che Stati Uniti e alleati sapranno reagire a eventuali “pratiche economiche sleali” cinesi. Yellen però ha detto anche di “credere sia nel migliore interesse di entrambi i Paesi assicurare di avere linee di comunicazione dirette e chiare ad alto livello”. E lo crediamo anche noi.

Intanto proprio oggi si conclude il viaggio americano in Cina, ma vien da sé che questo è solo uno dei tasselli che i due colossi dell’economia globale stanno iniziando a incastonare. L’obbiettivo è trovare una quadra su tante questioni, e chissà che il prossimo incontro non avvenga prima di quanto ci aspettiamo.

BONUS TRACK


Non ne siamo sicuri, ma forse un leone meccanico non è proprio lo strumento scelto dalla Yellen per aprire un dialogo con Pechino. Anche perché probabilmente non glielo avrebbero fatto imbarcare al check-in dell’aeroporto.
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