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Economia e investimenti

Venti di ottimismo per l’economia globale, verso la grande ristrutturazione

I big della finanza e dell’industria riuniti a Davos avvistano una ripresa senza inflazione, ma non sarà un ritorno al passato. Si preparano colossali riassetti di cui i licenziamenti dei big tech sono il primo segnale

di Stefano Caratelli 23 Gennaio 2023 08:20
financialounge -  mercati Weekly Bulletin

Inflazione, banche centrali che continuano a alzare i tassi, recessione in arrivo ma non si sa se lieve, violenta o magari che neanche ci sarà. Intanto la geopolitica rimane la principale incognita che pende su economie e mercati. Dai dati macro che escono in continuazione non arriva molto aiuto, la loro volatilità resta alta. E se i mercati stanno sussurrando qualcosa all’orecchio degli investitori, è difficile da decifrare. Sicuramente da inizio 2023 dalle cronache finanziarie è scomparso il termine ‘stagflazione’, molto ricorrente l’anno scorso. Il rischio di una combinazione perversa di crescita bloccata e alta inflazione è stato cancellato dalla determinazione delle banche centrali ad alzare i tassi tanto e quanto a lungo sarà necessario per far rientrare la corsa dei prezzi. A differenza di fine 2018/inizio 2019, la Fed non è corsa in aiuto quando l’S&P 500 a ottobre 2022 è andato sotto i 3.500 punti al nuovo minimo dell’anno dopo una serie di quattro o cinque rally ingannevoli alimentati proprio dalla speranza di una Fed che andasse in pausa per evitare una recessione.

IL RALLY PIÙ LONGEVO DA INIZIO 2022


I mercati sembrano essersene fatta una ragione, e da quei minimi sull’azionario globale è partito il rally finora più longevo da inizio 2022, in accelerazione nelle prime 3 settimane del nuovo anno, con un rialzo di oltre il 15%, a fronte di un calo che rimane comunque ancora superiore al 16% rispetto ai massimi storici di novembre 2021, come mostra il grafico dell’MSCI AC World Index riportato qui sotto.


Fonte: Refinitiv Datastream

MESSAGGIO DI SOSTANZIALE OTTIMISMO DAI BIG DELL’INDUSTRIA E DELLA FINANZA


Dal World Economic Forum di Davos appena concluso, che quest’anno si è distinto per l’assenza dei leader globali della politica con poche eccezioni, come quella del Cancelliere tedesco Scholz, molti big della finanza e dell’industria hanno inviato un messaggio di sostanziale ottimismo sulla tenuta e forza potenziale delle principali economie. Il tema dell’edizione di quest’anno del summit sulle nevi svizzere era ‘Cooperazione in un mondo frammentato’, ma il cauto ottimismo emerso si riferisce ad altro. Bloomberg cita grandi banker come Mary Erdoes di JPMorgan, James Gorman di Morgan Stanley, o Jane Fraser di Citi, che fanno affidamento soprattutto sul rapido rientro dell’inflazione e sulla riapertura della Cina, anche se la debolezza economica del gigante asiatico resta motivo di preoccupazione, insieme alla guerra senza fine in Ucraina. Il crollo del prezzo del gas dovrebbe dare respiro all’Europa, fino a poco fa indicata come destinata a una dura recessione, che ora forse potrebbe essere evitata persino dalla Germania.

LA SPINTA DELL’INFLATION REDUCTION ACT


Molte speranze sono inoltre riposte nell’Inflation Reduction Act americano, che potrebbe dare una spinta decisiva alla transizione energetica, anche se in uno spirito che sembra più di competizione che di cooperazione verso l’Europa. L’ottimismo non arriva solo dalla grande finanza. Il Financial Times cita il CEO di Unilever Alan Jope, che si aspetta un ritorno alla grande dei consumi cinesi, dopo tre anni di lockdown, mentre il suo collega di Occidental Vicki Hollub prevede una spinta formidabile agli investimenti dall’Act di Joe Biden, e il numero uno di Accenture in Europa Jean Marc Ollagnier riferisce che la gran parte dei CEO del vecchio continente sono ottimisti sul 2023 e vedono un anno di crescita più che di recessione.

STA ARRIVANDO LA ‘GRANDE RISTRUTTURAZIONE’


Ma sembra anche che il nuovo percorso di crescita possibile non possa essere un ritorno al passato di fine 2019 e debba passare per una ristrutturazione profonda delle aziende, a cominciare dalle più grandi e globali. In questo senso probabilmente vanno letti i pesanti tagli occupazionali di alcune grandi istituzioni finanziarie e soprattutto dei big tech americani, da Microsoft a Meta, da Tesla a Amazon fino a Salesforce, Snap, e Twitter, che negli ultimi 12 mesi hanno annunciato la riduzione di circa 130.000 posti, più della metà di quelli creati a dicembre dall’intera economia USA. Forse è presto per dire che nelle economie sviluppate e in Cina è iniziata una colossale ristrutturazione simile a quella che investì l’industria tradizionale in USA e Europa negli anni 70. Ma qualcosa di grosso si sta muovendo e forse dopo le ‘grandi crisi’ degli ultimi 15 anni sta arrivando la ‘grande ristrutturazione’.

COSA SI STA MUOVENDO SULL’AZIONARIO GLOBALE


E qualcosa si sta muovendo anche sul mercato azionario, a cominciare da quello americano. Se invece di guardare gli indici, che possono essere spostati da una manciata di big a larghissima capitalizzazione, si va a vedere cosa fanno i 2.800 titoli quotati sul New York Stock Exchange, si scopre che quelli ai massimi da 52 settimane sono un po’ di più di quelli che viaggiano ai minimi. Se si prende invece lo S&P 500 la mediana tra i due estremi è nettamente in territorio negativo.


Saldo netto tra nuovi massimi e nuovi minimi sul Nyse (Fonte CNN Money)


Quello che la statistica riportata qui sopra sembra dire è che pure negli ‘orribili’ 12 mesi trascorsi, le singole occasioni di guadagno a Wall Street sono state più numerose dei rischi di subire perde, a condizione di ‘contare’ le azioni quotate e non di ‘pesarle’.

BOTTOM LINE


Un nuovo mondo sta prendendo forma e non è quello della stagflazione di 50 anni fa. I big della finanza e dell’industria globale ‘annusano’ una fase di crescita in arrivo che per essere cavalcata richiederà cambiamenti strutturali profondi. Il nome del gioco non sembra essere la ‘cooperazione’ auspicata dal World Economic Forum ma una ‘competizione’ per ora a tre, tra USA, Europa e Cina. Per essere ‘sana’ bisogna che non venga forzata da prepotenze, come la sciagurata aggressione russa all’Ucraina. Sono scorciatoie che non convengono a nessuno, e che portano alla rovina di chi ci prova, come proprio il caso della Russia sta dimostrando.
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