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I numeri

È cominciata la crisi degli esport?

Primi segnali di luna di miele finita tra il mondo degli esport e gli investitori, i venture capital stanno ancora aspettando i loro guadagni

di Stefano Silvestri 16 Dicembre 2022 09:22
financialounge -  Esport finanza Smart Life

Il passaggio dall’essere la terra promessa (per gli investitori) a un luogo da dimenticare, in tempi moderni, è qualcosa che accade velocemente. Soprattutto quando esperti, analisti e divulgatori investono tempo e risorse nel far credere di trovarsi di fronte alla ‘next big thing’. Il problema è che poi, a pagarne il prezzo, non è solo chi ha gettato il cuore (in questo caso il portafoglio) oltre l’ostacolo, ma anche il diretto interessato. Come ad esempio il movimento degli esport che, è giusto precisarlo, c’è. Sono molti coloro che amano vedere dal vivo o in streaming i campioni dei videogame sfidarsi in gare all’ultimo millisecondo. E, probabilmente, tra qualche decade succederà quello che secondo molti oracoli sarebbe già dovuto accadere oggi, ossia che gli esport oscureranno gli sport tradizionali. Ma oggi non è così e non stupisce che siano sempre più le organizzazioni (e)sportive in crisi.

LE CAUSE DELLA CRISI


Dopo anni di sostanziale crescita, dunque, stiamo assistendo a un rimbalzo degli esport verso il basso. Ad acuire il problema hanno contribuito alcune concause tutt’altro che trascurabili. Il mondo sta attraversando una congiuntura economica piuttosto difficile e, dopo essere uscito da due anni di Covid (che ha tarpato le ali di tutti gli eventi dal vivo), è entrato nella spirale del conflitto ucraino. Non bastasse, sono crollate le cripto valute che, tramite le loro munifiche sponsorizzazioni, fornivano da tempo un sostanzioso sostegno economico agli esport. Il risultato è che solamente negli ultimi mesi Team SoloMid e 100 Thieves, tra le più celebri organizzazioni di esport al mondo, hanno licenziato dozzine di impiegati. Lo scorso mese, invece, gli Evil Geniuses hanno chiuso il loro team nordamericano che gareggiava nel celebre (e remunerativo) Defense of the Ancients 2, spostando le proprie operazioni in Sud America. Anche gli stessi editori di videogiochi stanno alzando il piede dall’acceleratore: Riot Games poche settimane fa ha annunciato che chiuderà tutte le leghe di Wild Rift a eccezione di quella asiatica, mentre la licenza per il celebre torneo di Super Smash Bros. non è stata rinnovata da Nintendo.

IN PERDITA


“Abbiamo operato in perdita sin dall’inizio”, ha dichiarato Ben Spoont, fondatore e chief executive officer di Misfits Gaming Group, “e pensavo che nel 2022 avrei avuto abbastanza informazioni per dire ‘siamo arrivati qui’ o ‘ci arriveremo l’anno prossimo o quello dopo’”. Evidentemente non è andata così e lo scorso luglio ha venduto lo slot spettante al suo team per partecipare al campionato europeo di League of Legends. Un discorso analogo vale per gli investitori: dopo i 4,5 miliardi di dollari piovuti sugli esport nel 2018, gli investimenti sono tornati a essere quelli del 2016, fatta ovviamente eccezione per il 2020 con le relative restrizioni dovute alla pandemia. Emblematico anche il caso dei FaZe Clan, altra celeberrima organizzazione di esport che, dopo essersi quotata in Borsa, ha visto il proprio valore azionario crollare dell’80%.

AGGRAPPATI AGLI SPONSOR


“Gli esport hanno perso ogni attrattiva dopo che in molti sono rimasti scottati da aspettative eccessive e da valutazioni stellari delle start-up”, ha dichiarato Ben Goldhaber, ora creator e precedentemente impiegato di Twitch. A spiegare questa affermazione giungono i dati di Newzoo: se è vero che i principali esport possono facilmente riempire gli stadi e che i biglietti sono più economici rispetto a quelli nella NFL o dell’NBA, i 216 milioni di persone che nel mondo guardano eventi di esport almeno una volta al mese generano solamente 5,30 dollari all’anno. E con le sponsorizzazioni che rappresentano tuttora il 60% degli introiti delle organizzazioni di esport, dopo il recente fallimento di FTX sono in molti a domandarsi cosa accadrebbe al gaming competitivo il giorno in cui brand quali BMW e Red Bull dovessero rallentare i loro investimenti.
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