Il caso
Bitcoin usato dagli oligarchi russi per spostare capitali all'estero
Il sospetto che gli oligarchi possano aver usato il Bitcoin per trasferire capitali nonostante le sanzioni economiche trova conferma nelle parole di un dirigente della Banca d'Italia: "Volumi in crescita il 28 febbraio"
di Antonio Cardarelli 17 Marzo 2022 11:41
Nei primi giorni dell'invasione dell'Ucraina, seguiti dalle sanzioni dei Paesi occidentali contro la Russia, il dubbio era sorto: gli oligarchi russi possono usare le criptovalute, e in particolare i Bitcoin, per aggirare le sanzioni? La conferma arriva da Bankitalia, che sottolinea come "non c'e' dubbio che si possano aggirare le sanzioni in questo modo".
A dirlo è Massimo Doria, Capo servizio strumenti di pagamento della Banca d'Italia nel corso di un webinar organizzato dal quotidiano Il Messaggero: "Guardando a due date, 24 febbraio inizio del conflitto e 28 febbraio, terzo pacchetto importante di sanzioni, abbiamo verificato un aumento della frequenza di transazioni in criptoattività, e in Bitcoin in particolare, concomitante con la forte svalutazione del rublo e con la difficoltà di convertire la divisa russa nelle principali valute internazionali".
I sospetti, dunque, troverebbero conferma nelle parole del dirigente della Banca d'Italia. Impossibilitati a trasferire denaro all'estero dopo il distacco della Russia dal sistema di pagamenti Swift e in seguito al blocco imposto da Visa e Mastercard, molti russi avrebbero fatto ricorso alle criptovalute per cercare di salvare i propri capitali. Dall'inizio della guerra, infatti, il rublo ha perso circa la metà del suo valore nei confronti del dollaro. Da qui la necessità di convertire al più presto i beni in valute diverse, e possibilmente far uscire capitali dalla Russia sempre più isolata. E la natura decentrata delle criptovalute, che non sono sottoposte al controllo di enti superiori come le banche centrali, offre l'ambiente ideale per una manovra di questo tipo.
Lo ha spiegato chiaramente anche lo stesso Doria: "Questo può riflettere certamente il tentativo di mitigare gli effetti delle sanzioni e può anche riflettere l'esigenza di un movimento verso un bene rifugio. Bisogna considerare la caratteristica della blockchain e proprio quella forte pressione sulla criptoattività ha determinato un rallentamento dell'attività di mining". D'altra parte, il 28 febbraio la valutazione del Bitcoin è improvvisamente passata da 37mila a 43mila dollari.
Come osserva Doria, la capacità di emettere nuovi Bitcoin (in gergo di "estrarre") è rallentata di 10 volte rispetto al 24 febbraio: "È vero che c'è questa pressione ma non è sicuro che sia sufficiente per aggirare le sanzioni percheé un conto e fare ricorso alle criptoattività e un altro è la capacità della infrastruttura tecnologica di reggere una domanda così forte che dovrebbe essere in grado di sostenere transazioni commerciali in una condizione di estrema criticità".
VOLUMI SOSPETTI
A dirlo è Massimo Doria, Capo servizio strumenti di pagamento della Banca d'Italia nel corso di un webinar organizzato dal quotidiano Il Messaggero: "Guardando a due date, 24 febbraio inizio del conflitto e 28 febbraio, terzo pacchetto importante di sanzioni, abbiamo verificato un aumento della frequenza di transazioni in criptoattività, e in Bitcoin in particolare, concomitante con la forte svalutazione del rublo e con la difficoltà di convertire la divisa russa nelle principali valute internazionali".
AGGIRARE LE SANZIONI
I sospetti, dunque, troverebbero conferma nelle parole del dirigente della Banca d'Italia. Impossibilitati a trasferire denaro all'estero dopo il distacco della Russia dal sistema di pagamenti Swift e in seguito al blocco imposto da Visa e Mastercard, molti russi avrebbero fatto ricorso alle criptovalute per cercare di salvare i propri capitali. Dall'inizio della guerra, infatti, il rublo ha perso circa la metà del suo valore nei confronti del dollaro. Da qui la necessità di convertire al più presto i beni in valute diverse, e possibilmente far uscire capitali dalla Russia sempre più isolata. E la natura decentrata delle criptovalute, che non sono sottoposte al controllo di enti superiori come le banche centrali, offre l'ambiente ideale per una manovra di questo tipo.
CRIPTO COME BENE RIFUGIO
Lo ha spiegato chiaramente anche lo stesso Doria: "Questo può riflettere certamente il tentativo di mitigare gli effetti delle sanzioni e può anche riflettere l'esigenza di un movimento verso un bene rifugio. Bisogna considerare la caratteristica della blockchain e proprio quella forte pressione sulla criptoattività ha determinato un rallentamento dell'attività di mining". D'altra parte, il 28 febbraio la valutazione del Bitcoin è improvvisamente passata da 37mila a 43mila dollari.
MINING RALLENTATO
Come osserva Doria, la capacità di emettere nuovi Bitcoin (in gergo di "estrarre") è rallentata di 10 volte rispetto al 24 febbraio: "È vero che c'è questa pressione ma non è sicuro che sia sufficiente per aggirare le sanzioni percheé un conto e fare ricorso alle criptoattività e un altro è la capacità della infrastruttura tecnologica di reggere una domanda così forte che dovrebbe essere in grado di sostenere transazioni commerciali in una condizione di estrema criticità".
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