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Delusione Cop26

Cina e India a tutto carbone

La conferenza sul clima si è tradotta in un nulla di fatto, mentre i grandi inquinatori come India e Cina continuano a far affidamento sul carbone

di Maurizio Nicola 15 Novembre 2021 16:26
financialounge -  cina COP26 india

Piange il presidente della Conferenza sul Clima Cop26 dopo l'accordo sul clima firmato dai 197 Stati presenti a Glasgow. Alok Sharma, già ministro del governo May e ora responsabile per lo sviluppo industriale sotto Boris Johnson, sa che gli obiettivi inseriti nel testo finale della conferenza sono notevolmente al di sotto delle attese e fanno trasparire tutte le difficoltà di compromesso tra i Paesi che hanno preso sul serio Parigi 2015 e tra quelli che fanno ancora affidamento ai combustibili fossili come risorsa principale.

IL TESTO


Il set-back più importante del documento ufficiale è il cambio di linguaggio. Da “azzeramento” (phase out) dell'energia a carbone si passa alla “riduzione graduale” (phase down) dei combustibili fossili, e si chiede a Paesi di “rivedere” gli obiettivi al 2030 entro la fine del 2022 “tenendo conto del contesto nazionale”. Gli impegni rimangono essenzialmente quelli di sei anni fa: contenimento entro 1,5°C e taglio del 45% delle emissioni di gas serra entro il 2030. Poca roba, soprattutto se si considera che per molti studiosi, il decennio attuale è “cruciale” per la lotta al cambiamento climatico. Il testo, di fatto, rimanda tutto di un anno, e cioè alla COP27 che si terrà a Sharm el-Sheikh, Egitto, nel 2022, quando i 197 Paesi faranno di nuovo il punto sull'emergenza clima, ma intanto un altro anno sarà

SCOGLIO CINA E INDIA


Nonostante l'accordo a sorpresa sul clima con gli Stati Uniti, la Cina, insieme all'India, resta lo scoglio principale per un'azione globale sul clima, ancora troppo restia a virare da un'economia basata principalmente sullo sfruttamento dei combustibili fossili a risorse più green.

IL PARADOSSO


Sia Pechino che Nuova Delhi, i principali responsabili delle emissioni di gas serra insieme a Washington, sono in un certo senso costretti ad affidarsi al carbone vista la forte richiesta di beni locali provenente da tutto il mondo, a cui si aggiunge un solido aumento della domanda interna post-pandemia che sta portando al limite la crisi energetica nel Paese. Tutto questo non fa altro che evidenziare il paradosso di questa fase della transizione verde: da una parte massicci investimenti green per avvicinarsi ai timidi obiettivi sul clima, e dall'altra la necessità di trovare risorse laddove possibile per affrontare la carenza di energia e non rischiare un brusco stop della produzione in un momento di ripresa economica e alta inflazione.

INTANTO L'OUTPUT AUMENTA


Per fronteggiare la carenza di gas naturale, il governo di Pechino ha invitato ad aumentare l'estrazione di carbone per supportare le necessità del comparto industriale, facendo aumentare di produzione mineraria ed elettrica. Il ritorno al combustibile fossile ha fatto sì che la produzione industriale cinese abbia registrato un aumento del 3,5% su base annuale a ottobre dal 3,1% del mese precedente e oltre il 3,0% atteso dal mercato, con le vendite al dettaglio in rialzo del +4,9% su base annua, rispetto al +4,4% di settembre e superiori al +3,5% previsto.
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