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Domanda in ripresa

Attese e mercati, grande spazio di recupero per i petroliferi

Al summit virtuale delle banche centrali di Jackson Hole il capo della Fed Powell potrebbe cominciare a scoprire le carte. Il rebus del petrolio, con la domanda che sale e l’offerta che si restringe: grande spazio di recupero per i titoli del Big Oil. La campagna Dem sta mandando in scena lo stesso copione che portò Hillary alla sconfitta

di Virgilio Chelli 24 Agosto 2020 09:50
financialounge -  Attese e mercati FED mercati petrolio presidenziali USA Scenari


ALLA JACKSON HOLE VIRTUALE FED PROTAGONISTA


I ‘Fed watchers’ aspettano con ansia la riunione del FOMC del 15-16 settembre, quando la banca centrale americana dovrà cominciare a scoprire le carte sulla revisione della strategia monetaria, che potrebbe prevedere per la prima volta l’indicazione di target dei rendimenti dei titoli del Tesoro. Ma forse già giovedì 27 il chairman Jay Powell comincerà ad alzare qualche velo, visto che tiene l’intervento di aperture alla conferenza di Jackson Hole, quest’anno in edizione virtuale. Il tema di cui parlerà è infatti proprio la revisione della struttura della politica monetaria della banca centrale, che ha l’obiettivo di accompagnare in modo efficace ed effettivo l’economia nel percorso di ripartenza e ripresa. Tra le novità attese anche un nuovo sistema di fissare gli obiettivi di inflazione, visto che l’attuale target del 2% non riesce ad essere raggiunto e nemmeno avvicinato. Finora la politica della Fed ha funzionato benissimo per ‘scudare’ i mercati, sia del credito che delle azioni, e per tenere a galla l’economia. Ora il problema è rimetterla stabilmente in piedi e soprattutto riuscire a farla camminare sulle sue gambe.


GRANDE SPAZIO DI RECUPERO PER I TITOLI PETROLIFERI


Sul mercato globale del petrolio qualcuno sta forse sbagliando i conti, o forse li sta facendo fin troppo bene. La domanda di carburanti globale è in netta ripresa, soprattutto negli Stati Uniti dove i consumi di benzina corrono e anche il trasporto aereo è ripartito, con la componente cargo che tira di più, ma le scorte continuano ad assottigliarsi e le grandi compagnie continuano a tagliare sia i costi, riducendo quindi la capacità produttiva, sia gli investimenti, riducendo la produzione futura. Il prezzo intanto continua a restare inchiodato sotto il muro dei 45 dollari, sia per il Brent che per il Wti. Il fronte dei paesi produttori è diviso a metà, con l’Opec che sta lentamente riaprendo i rubinetti, mentre quelli dello shale oil americano restano chiusi, perché fino a che non si vedono i 50 dollari al barile riaprirli non conviene. Le Big Oil come Exxon, Chevron e BP stanno tagliando ferocemente costi e investimenti, con il risultato di pesanti cali produttivi. Se il cerchio si dovesse chiudere e tra il 2021 e il 2022 l’offerta di petrolio non riuscisse a tener dietro a una domanda globale in forte ripresa, l’effetto sarebbe sicuramente un rimbalzo di Brent e Wti ben oltre i 50 dollari. Ma ci sarebbe un effetto ancora più potente sui titoli dei grandi produttori, che vedrebbero ricostituiti margini e utili. Lo spazio di recupero è grande: da inizio anno il settore energia dello S&P 500 è sotto del 41%.


LO STESSO COPIONE DI 4 ANNI FA


Esattamente 4 anni fa il WSJ uscì con un titolo che diceva che neanche uno, tra i CEO delle prime 100 società censite da Fortune, aveva donato a favore del candidato Donald Trump, mentre molti avevano sostenuto i suoi avversari alle primarie, e 11 si schieravano invece apertamente per Hillary Clinton. Oggi, nonostante la presidenza Trump non sia stata avara con la Corporate America, la situazione non cambia molto. C’è qualche mosca rara che si dichiara per Trump, come la CEO di Oracle Safra Catz, ma i report dei siti americani parlano di un Joe Biden che sta raccogliendo molti più fondi dalle grandi corporation, mentre, come 4 anni fa, Trump fa il pieno di piccole donazioni da parte degli small business. La riluttanza a sostenere apertamente Trump non riguarda tanto la gestione dell’economia, che soprattutto per il taglio alle tasse gli viene riconosciuta, ma il suo stile personale, le sue sparate politicamente scorrette, i suoi tweet notturni. E ancora come 4 anni fa la stampa pro-Dem cerca di accreditare l’idea che Wall Street preferisca una presidenza Biden: di recente il Washington Post ha scritto che il rally di Borsa non è il risultato delle politiche di Trump, ma anticipa la vittoria di Biden. Se il copione continua a essere questo il finale sembra già scritto.
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