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Inflazione, con il lockdown potrebbe tornare a salire?

Per Luca Tobagi, CFA - Investment Strategist di Invesco, la pandemia ha cambiato le abitudini di acquisto dei consumatori. Un aumento dell’inflazione, anche se non nell’immediato, potrebbe avere delle implicazioni sugli investimenti

di Fabrizio Arnhold 22 Giugno 2020 10:36

In un mondo con tanto debito, l’inflazione è sempre un tema di attualità. “Probabilmente molti di coloro che leggono sono cresciuti in un mondo in cui, se l’inflazione rappresentava un problema, lo era perché troppo alta”, spiega Luca Tobagi, CFA - Investment Strategist di Invesco. “Negli ultimi anni, invece, il contributo congiunto, fra le altre cose, di una globalizzazione poco regolamentata e della Grande Crisi Finanziaria e della grande recessione che ne è seguita, oltre al ruolo decisivo della flebile dinamica di crescita degli aggregati monetari, ha contribuito a mantenere l’inflazione bassa”. Il blocco delle attività produttive causato dalla pandemia di Covid-19 ha per certi aspetti cambiato il quadro rispetto a prima.

L’IMPATTO DELLA PANDEMIA SULLE CATENE PRODUTTIVE


Con il lockdown, le aziende più efficienti, con catene produttive in grado di ottimizzare i costi e ridurre al minimo le scorte di magazzino, sono state quelle più penalizzate. “La crisi ha colpito senza gerarchie fra beni necessari e voluttuari”, continua nella sua analisi Tobagi. “La distribuzione ha cercato di dare la priorità ai beni ritenuti essenziali”, ma con la pandemia la produzione si è ridotta. Per Tobagi, questi effetti potrebbero contribuire ad alimentare l’inflazione.

I PREZZI DI VENDITA


Per effetto della crisi, le aziende potrebbero riprogettare le proprie strutture produttive, creando delle capacità di riserva in vari Paesi, per evitare il rischio che un blocco dei trasporti internazionali costringa a un’interruzione globale della produzione. Questo cosa provocherebbe? “Costi e inefficienze che le aziende potrebbero cercare di recuperare applicando aumenti dei prezzi di vendita”, spiega il CFA - Investment Strategist di Invesco. “I consumatori, dal canto loro, potrebbero preoccuparsi di non riuscire a procurarsi i beni, compresi quelli di prima necessità, come il cibo, di cui hanno bisogno”.

RISCOPRIRE L’ABITUDINE DI FARE SCORTE


Fino a prima della pandemia, siamo stati abituati a compare quello che ci serviva in qualsiasi momento. Con il lockdown, invece, in molti hanno riscoperto l’abitudine a fare scorte. Per Tobagi, la mentalità dell’accumulazione può tipicamente nascere nei contesti inflattivi e di scarsità: “Il timore che il prezzo dei beni che ci servono possa aumentare, o di non trovarne più in circolazione, ci porta a costituire scorte, in modo da acquistare di più oggi, a un prezzo più basso di quello che ci aspettiamo in futuro”, precisa l’esperto di Invesco. La mentalità “last minute”, quella che ci porta a pensare di poter trovare in ogni momento quello che serve, può essere invece tipica di un contesto deflattivo.

GLI IMPATTI SUI MERCATI FINANZIARI


Cosa aspettarci nel prossimo futuro? “A meno che non si ritorni ad avere un blocco delle catene di produzione e un contingentamento forzoso degli acquisti, mi sembra improbabile che questo possibile cambio di mentalità possa portare inflazione”, conclude la sua analisi Tobagi. “Però, a differenza di quanto mi sembra di avere visto accadere almeno negli ultimi dieci anni, credo che possa permettere a una dinamica positiva dei prezzi di attecchire, se dovesse rimettersi in moto”. E questo, anche se non nell’immediato, potrebbe avere delle implicazioni sui mercati finanziari e sugli investimenti.
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