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Idee di investimento – Obbligazioni – 26 giugno 2017

26 Giugno 2017 09:58
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Quanto inquinano i prestiti che concedete? È questa in sintesi la domanda che d’ora in poi il fondo sovrano norvegese Government Pension Fund Global gestito da Norges Bank Investment Management, con 960 miliardi di dollari in gestione e 9 mila aziende collegate, rivolgerà alle banche nelle quali è investito. Un ulteriore passo sulla strada della sostenibilità ambientale che il CEO, Yngve Slyngstad, ha definito ‘il terzo livello’. “Il terzo livello consiste nel guardare a cosa c’è nelle partecipazioni delle banche”, ha dichiarato nell’articolo “Quanto inquina un prestito, la richiesta del fondo sovrano norvegese alle banche” Yngve Slyngstad aggiungendo: “Che tipo di prestiti hanno e come sono le loro partecipazioni e i prestiti esposti a questo problema? In pratica ciò significa verificare i prestiti aziendali dal punto di vista dell’impronta di carbonio (carbon footprint)”.

"In attesa di sapere se la decisione assunta dal fondo sovrano norvegese sarà implementata da altri investitori istituzionali, i mercati non sembrano assecondare le valutazioni della Federal Reserve americana: stiamo assistendo a un nuovo episodio del confronto tra reflazionisti e deflazionisti” segnala nell’articolo “Torna il confronto tra reflazionisti e deflazionisti” Carlo Benetti, Head of Market Research and Business Innovation di GAM (Italia) SGR. I primi mettono l’accento sulla forza dell’economia globale (in effetti ancora robusta), mentre i secondi sono più inclini a credere alla persistenza della ‘stagnazione secolare’, una fase caratterizzata dalle ‘quattro B’: bassa crescita, bassa inflazione, bassi tassi di investimento, bassa produttività. “L’investitore obbligazionario sembra costretto a scegliere tra il banco, le banche centrali reflazioniste, e gli altri giocatori, gli operatori deflazionisti” sintetizza Carlo Benetti secondo il quale, tuttavia, la cosa giusta da fare consiste nell’evitare di scegliere. Al di fuori delle obbligazioni c’è ancora valore nell’azionario: l’attività economica prosegue sincronica, la crescita dei profitti è robusta e diffusa, la rotazione settoriale premia i titoli di qualità e la selettività. “I timori che un incremento dei tassi e la forza del dollaro avrebbero danneggiato i mercati emergenti si sono attenuati, grazie alla gradualità della Fed, all’efficacia della forward guidance e al dollaro debole, benché non giustificato dai differenziali di rendimento” specifica Carlo Benetti secondo il quale, per l’investitore, non si tratta di aggiungere rischio ma di diversificare tra più rischi, per averne meno.

Tra le fonti di alpha (extra rendimento) e diversificazione figurano ancora a pieno titolo i mercati emergenti. Nell’articolo “Mercati, gestione attiva e flessibilità per adattarsi alle economie globali”, Alessandro Furrer di Fidelity International ha illustrato le caratteristiche del [tooltip-fondi codice_isin="LU0238205289"]FF Emerging Market Total Return Debt Fund[/tooltip-fondi], che investe proprio nell’obbligazionario dei paesi emergenti spaziando in maniera flessibile fra debito societario e governativo, in valuta forte o locale. Uno dei punti cardine della filosofia di Fidelity è rappresentato dalla diversificazione che oggi offre grandi occasioni perché siamo in un contesto di economie che crescono in maniera diversa e sono in stadi diversi e le stesse banche centrali si stanno muovendo in maniera non coordinata.

Convinti che i mercati emergenti offrano agli investitori fixed income un buon potenziale di rendimento rettificato per il rischio in un ciclo di cinque anni lo è pure la Pictet Asset Management Strategy Unit (PSU), il gruppo di investimento responsabile delle linee guida di asset allocation in ambito azionario e obbligazionario, nonché in materia di valute e di commodity. “Dalla nostra analisi emerge che l’inserimento di obbligazioni dei mercati emergenti in un portafoglio composto da titoli sovrani dei Paesi avanzati ha sempre giovato alla performance senza aumentare significativamente il rischio” fa sapere nell’articolo “Portafogli obbligazionari, il jolly del debito emergente” la PSU che poi aggiunge: “In base alle nostre stime, un portafoglio modello composto per l’80% da titoli di Stato delle aree sviluppate e per il 20% da debito emergente in valuta forte e in valuta locale (senza copertura) in egual misura genererebbe un rendimento annuo del 2,5% in 5 anni, superando la performance attesa per le obbligazioni dei Paesi avanzati, pari all’1,7%. Tali previsioni sono in linea con i dati reali rilevati in passato. Nel periodo 2003-2017 un simile portafoglio avrebbe sovraperformato i bond governativi mondiali di 87 punti base (+0,87%) l’anno a parità di rischio”.

Anche i trend dell’M&A (fusioni ed acquisizioni) possono essere fonte di rendimenti di un certo rilievo. “Siamo convinti che i livelli attuali delle operazioni siano sostenuti dal basso costo dei prestiti, che favorisce le operazioni cash, dalle ricche valutazioni azionarie, che favoriscono le operazioni di scambio azionario, e da un livello di tassi di crescita economica al di sotto del potenziale, che rende più facile l’ampliamento delle quote di mercato e degli utili attraverso operazioni di acquisizione piuttosto che mediante una crescita organica” fa sapere nell’articolo “M&A, il trend di mercato continua ad offrire opportunità da sfruttare” Roberto Bottoli, gestore del fondo GAM Star (Lux) Merger Arbitrage, la cui strategia d’investimento fa leva sulla capacità di produrre rendimenti simili a quelli obbligazionari con un portafoglio azionario market neutral (ovvero senza esposizioni direzionali al mercato), catturando gli spread d’arbitraggio derivanti dalle attività di fusione e acquisizione annunciate a livello mondiale. Lo spread che il manager ne ricava è la ricompensa per aver sostenuto il rischio del potenziale fallimento dell’operazione. Roberto Bottoli rivela che la propria strategia si focalizza sul segmento delle small e mid cap dato che costituiscono le posizioni meno affollate e offrono premi più alti a fronte dello stesso rischio di fallimento dell’operazione.
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