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News & Views – 19 giugno 2017

Insight dalla redazione di FinanciaLounge su quello che si muove nelle economie e nei mercati.

19 Giugno 2017 10:00
financialounge -  Amazon cina News & Views Russia USA Vladimir Putin Xi Jinping

In attesa di Putin 4.0
Settimana scorsa il presidente russo ha parlato moltissimo, sono andate in onda in America in 4 puntate delle 20 ore di intervista che gli ha dedicato Oliver Stone, mentre in Russia lo zar ha risposto in diretta tv per oltre un’ora alle domande degli elettori. Ha parlato molto ma ha detto poco. Le domande a cui è mancata una risposta sono sostanzialmente due: tra un anno al Cremlino ci sarà ancora lui? Ci sarà una svolta nelle relazioni con l’America di Trump? La prima domanda ci porta a un argomento di cui si parla poco, tra nove mesi in Russia ci dovrebbero essere le presidenziali, e il problema non è, come nel resto del mondo, chi le vince, ma se Putin si ripresenta o sceglie un successore. Lui, a domanda diretta di un elettore russo, si limita a rispondere che sta lavorando. Sul secondo tema dice qualcosa di più, potrebbe esserci un miglioramento: “Con Trump le relazioni dovrebbero svilupparsi”. Non è un granché. Putin si “è fatto” quattro presidenti americani: Clinton, Bush giovane, Obama e ora Trump. Stone gli chiede: qualche differenza tra i quattro? Quasi nessuna, è la risposta, la vostra burocrazia è molto forte ed è la burocrazia che governa il mondo. Un fronte di collaborazione potrebbe essere la cyber-security, un campo in cui i russi sono forse più avanti degli americani. Magari il terreno su cui stringere un accordo tipo quello per il disarmo nucleare firmato il 31 luglio 1991 da Bush senior e Gorbaciov.

Dopo Trump tocca a Bezos?
Immaginiamo di rientrare a casa la sera magari a San Francisco dove ci aspetta una cena acquistata su Amazon e recapitata sulla porta di casa da un drone, accendiamo la tv e su Amazon News Network ci sorride Jeff Bezos, fondatore e presidente del nuovo partito che ha appena stravinto le elezioni: l’Unione del Nord America. La scenetta è immaginata dal columnist Christopher Mims sul Wall Street Journal, è un gioco, avverte l’autore, ma fino a un certo punto. Amazon è il principale datore di lavoro americano con più di 340.000 dipendenti in tutto il mondo e i suoi tentacoli si stanno allungando in ogni angolo della vita quotidiana degli americani, dal commercio online a quello fisico con il recente acquisto di Whole Foods, dalle transazioni dei pagamenti alla realtà virtuale, dall’editoria con il suo Washington Post fino allo spazio. E Amazon non è sola, fa parte di un gruppetto battezzato FAAMG, che sta per Facebook, Amazon, Apple, Microsoft e Google, impegnato nella missione messianica di trasformare l’intero sistema produttivo globale in una specie di appendice fisica di Internet. Una concentrazione che a Mims ricorda l’Era Dorata degli anni Venti. Per fortuna questa volta la Grande Crisi ce l’abbiamo alle spalle e (speriamo) non in arrivo.

L’età d’oro immaginaria di Xi
“Diventeremo di nuovo la nazione più ricca e potente del pianeta che eravamo, prima di secoli di umiliazione, di rapine e saccheggi perpetrati dagli stranieri”. No, non è Trump che parla di far tornare ‘grande l’America’, ma il campione della globalizzazione e della lotta al cambiamento climatico Xi Jinping. Al presidente di Pechino piace evocare il ‘sogno cinese’ di un ritorno all’età dell’oro del grande paese. Ma era davvero così dorata la Cina prima della guerra dell’oppio fomentata dagli sfruttatori occidentali nel 1839? L’Economist è andato a fargli le pulci e ha scoperto che il ritardo cinese rispetto all’Occidente è molto più lungo e profondo, con l’aiuto di un nuovo studio che compara il PIL pro-capite di Cina, Inghilterra, Olanda, Italia e Giappone dall’anno mille in poi. E scopre che solo nell’undicesimo secolo la Cina era più ricca degli altri, aveva già inventato la polvere da sparo, il compasso, la carta moneta, l’altoforno e i caratteri di stampa mobili. Ma già nel 1.300 l’Italia l’aveva raggiunta e sorpassata, come un secolo dopo Inghilterra e Olanda, mentre il Giappone arriva a fare meglio solo nel 1800. Rispetto al momento di massimo splendore toccato nel 980, la Cina del 1840, quando comincia il saccheggio denunciato da Xi, aveva già visto la sua economia contratta di un terzo.
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