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Mercati emergenti, le mosse di Trump obbligano a scelte selettive

I mercati emergenti potrebbero essere penalizzati dalle prossime mosse di Trump ma non tutti allo stesso modo: selezionando i paesi è possibile ridurre gli impatti.

20 Dicembre 2016 09:49
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Sono in molti, tra analisti e osservatori, a ritenere che l’amministrazione Trump possa costituire se non una minaccia quantomeno un ostacolo di rilievo sul percorso di crescita dei mercati emergenti. Una preoccupazione tanto evidente da determinare, dall’elezione del neo presidente americano a oggi una correzione piuttosto consistente delle asset class emergenti, sia in ambito azionario che obbligazionario mentre gli indici dei principali paesi sviluppati hanno registrato rialzi piuttosto consistenti.

Anche coloro che suggeriscono di aspettare le effettive mosse di Trump in tema di maggiori rigidità negli scambi commerciali internazionali, di dazi alle importazioni e di rafforzamento del dollaro, ammettono che alcuni paesi (il Messico in particolare) dovrebbero comunque risultare particolarmente penalizzati.

Secondo Paul McNamara, gestore del fondo [tooltip-fondi codice_isin="IE00B5TN9J68"]GAM Star Emerging Market Rates[/tooltip-fondi] di GAM, le prossime mosse di Trump obbligano gli investitori a scelte selettive. Il manager, in particolare, ritiene che il punto chiave per l’amministrazione Trump sia rappresentata dalla produzione manifatturiera: un aspetto che potrà avere l’impatto maggiormente negativo in Messico, dato che gli stabilimenti di produzione di automobili saranno riportati sotto la produzione domestica statunitense.

Paul McNamara sottolinea infatti che, qualora la promessa minacciata in campagna elettorale di dazi del 45% sull’intera produzione manifatturiera messicana fosse messa in pratica, le importazioni americane dal Messico perderebbero il loro appeal di alternativa a basso costo. Ma a rischio di implicazioni derivanti dalle politiche messe in atto dal neo presidente americano sono anche Israele e l’Asia.

“Altri Paesi che risultano tra i maggiori esportatori di prodotti manifatturieri verso gli Stati Uniti sono Israele (soprattutto per quanto riguarda prodotti di sicurezza high-tech che, tuttavia, non risultano facilmente implementabili negli obsoleti distretti produttivi industriali americani) e l’Asia” riferisce Paul McNamara che, al contrario, mantiene un giudizio positivo su Russia, Brasile e Indonesia, che sembrerebbero godere di una migliore protezione in virtù del fatto che sono sostanzialmente paesi produttori di materie prime.

“Brasile, Indonesia e Russia, mostrano economie relativamente chiuse: nel momento in cui i provvedimenti dell’amministrazione Trump dovessero danneggiare l’economia mondiale, tali mercati dovrebbero essere relativamente ben protetti” spiega Paul McNamara che, comunque, preferisce adottare un atteggiamento prudente almeno fino a quando non ci saranno maggiori elementi certi sulle politiche effettivamente adottate dall’amministrazione Trump.
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