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Alberto Salato

Ecco le proposte per il deficit informativo sulla previdenza

3 Giugno 2015 10:30
financialounge -  Alberto Salato pensione previdenza integrativa
Soltanto un italiano si cinque ha messo in pratica o sta studiano soluzioni di previdenza integrativa. È il dato, purtroppo nemmeno tanto sorprendente, che emerge dalla ricerca «Banche e consulenza finanziaria: il ruolo di oggi e nell’Italia di domani. Opinioni e attese» commissionata a GfK Eurisko dall’Assoreti, l’associazione delle società per la consulenza agli investimenti, e che è stata presentata nel corso del convegno «Le reti: un modello industriale al servizio della consulenza», tenutosi il 23 maggio a Capri.
La ricerca che è stata costituita sui dati raccolti online tra il 6 e il 19 aprile su un campione di duemila individui capifamiglia (500 dei quali clienti delle reti di promotori), di età compresa tra 30 e 60 anni, titolari di un conto corrente bancario o postale o di una polizza assicurativa, e rappresentativo di dodici milioni di nuclei familiari, ha indagato inoltre le aspettative e i comportamenti futuri legati alla previdenza. La recente proposta governativa di riforma della legge Fornero sembra incontrare il favore degli italiani: la maggioranza degli intervistati (74%) preferirebbe andare in pensione prima anche a costo di percepire un assegno più basso.
Sulla previdenza c’è oggi un’elevata domanda potenziale di consulenza per banche e reti di promotori finanziari: solo il 33% degli intervistati dichiara di avere idee chiare sull’ammontare della pensione futura. Non sorprende che in questo quadro di deficit informativo prevalga la via al pensionamento fai da te: il 50% del campione pensa che sarà costretto a intaccare il proprio patrimonio/risparmio e a farsi aiutare dai propri familiari per affrontare l’eventuale insufficienza della pensione; il 25% non si è posto il problema. In tutti i casi, solo il 20% ha in mente soluzioni di previdenza integrativa.
“Il dato, purtroppo, non sorprende più di tanto. D’altra parte risulta più o meno in linea alla percentuale di lavoratori che attualmente aderisce ad una forma di previdenza integrativa” commenta Alberto Salato, Director e Head of Institutional Sales BlackRock per l'Italia per il quale anche la differenza significativa tra i fondi pensione e gli strumenti del risparmio gestito più diffusi (fondi comuni, comparti di Sicav ed ETF) può aver influito alla diffusione delle forme di previdenza integrativa nel nostro paese. Sebbene, secondo Alberto Salato, il vero motivo di questo gap previdenziale ancora tutto da colmare risiede nell’evoluzione della pensione pubblica: “Fino a circa 15 – 20 anni fa, lo stato garantiva una pensione di tipo a «benefici garantiti» in base alla quale veniva riconosciuto un assegno mensile a fine lavoro pari al 70%- 80% (o anche più) dell’ultima retribuzione. Da allora, con diverse riforme, il sistema è migrato verso pensioni pubbliche legate ai contributi effettivamente versati (cioè a «contributi definiti»). Ora, ci troviamo in una fase di transizione tra i due regimi, e il gap previdenziale non è ancora del tutto percepito ai lavoratori”.
I quali, però, farebbero bene il prima possibile a prenderne piena coscienza. Anche perché ci sono tutte le condizioni per farlo senza stravolgimenti particolari. “Le famiglie italiane, in media, risparmiano circa un terzo del reddito e, sempre in media, evidenziano un indebitamento al di sotto della media europea. Basterebbe quindi che almeno una quota di questo risparmio venisse indirizzata verso i prodotti dedicati alla previdenza integrativa per riuscire a colmare il gap previdenziale. Anche alla luce del fatto che sul mercato sono già disponibili prodotti, con diversi profili di rischio, che hanno dimostrato dal 1998 a oggi di registrare rendimenti al di sopra del TFR” conclude Alberto Salato.
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