La corporate America seduta su una montagna di cash

La sentenza della Corte Costituzionale sugli arretrati delle pensioni costringe a rifare di nuovo i conti per far quadrare il bilancio statale italiano. Nel frattempo, mentre il già debordante debito pubblico del nostro paese potrebbe lievitare ulteriormente, il cash detenuto, quasi tutto all’estero, dalle società non finanziarie americane ammonta a qualcosa come 1.700 miliardi di dollari.
La stima è contenuta in un report di Moody's Investors Service, l’agenzia di rating statunitense. Di questa somma incredibile, quasi un terzo, per la precisione 430,3 miliardi di dollari, è nelle casse di cinque soli big, tutti high-tech: Apple, Microsoft, Google, Cisco e Oracle. E il 90% è all’estero. Centinaia di miliardi che potrebbero andare a investimenti e invece restano fermi in cassaforte. È un trend che va avanti da anni. Le corporation americane fanno molti utili fuori dall’America, nel resto del mondo. E finchè gli utili restano parcheggiati fuori dai confini non pagano le tasse americane. Una situazione che ha effetti paradossali.
Come ad esempio il fatto che quando un big ha bisogno di soldi, per fare acquisizioni o pagare un maxi dividendo, spesso li recupera indebitandosi, pur avendone in abbondanza liquidi. Come ha fatto tempo fa proprio Apple, che guarda caso guida la classifica di Moody’s con 178 miliardi di dollari di cash. Una cifra paragonabile al PIL di un piccolo paese, come ad esempio la Grecia. Il fenomeno ha avuto un’accelerazione negli ultimi anni e si prevede che continui. Finché il governo federale mantiene al 35% l’aliquota con cui tassa oggi gli utili rimpatriati è difficile che ci sia un’inversione di tendenza.
Anche se a Washington non manca chi sarebbe favorevole a una sospensione una tantum delle tasse per offrire una finestra di rientro. Ma con la campagna elettorale in arrivo sembra difficile che qualcuno si muova per quello che sarebbe visto come un colossale regalo alle corporation.