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Maurizio Novelli

Le divergenze che i prezzi di mercato esprimono

4 Marzo 2015 13:00
financialounge -  Maurizio Novelli mercati obbligazionari politica monetaria treasury
Esiste una forte divergenza tra quello che Treasuries, Bund e governativi giapponesi (JGB) stanno prezzando come scenario macroeconomico e quello che le borse invece dicono. È questa la tesi di fondo sostenuta da Maurizio Novelli, Global Strategist di Zest AM che ricorda come le divergenze storiche tra l'andamento dei tassi d'interesse dei Treasuries e quello del mercato azionario siano fenomeni ricorrenti.
Secondo lo strategist, infatti, i bond, di norma, anticipano eventi macro che le borse non vedono perché quest'ultime sono prevalentemente concentrate a prevedere i dati micro, che però a loro volta dipendono molto dal quadro macro. Ecco tre esempi da manuale.
1)Nel periodo 1985-1987 l'economia USA cresceva a ritmi decisamente brillanti e la domanda interna continuava ad aumentare le importazioni di prodotti dall'estero. La Bilancia Commerciale USA iniziò ad accumulare un deficit sempre più ampio e gli operatori del mercato dei bond cominciarono a prezzare un aumento dei tassi USA come sempre più necessario per frenare l'economia, raffreddare la domanda e ridurre il deficit commerciale. I tassi sui Treasuries decennali iniziarono a salire decisamente nel marzo del 1987 ed in sei mesi passarono dal 7% al 10%. Le borse ignorarono per oltre sei mesi le notizie provenienti dal mercato obbligazionario, fino a quando, nell'ottobre del 1987, in un solo giorno l'Indice Dow Jones perse il 22% in una seduta. Il rialzo dei tassi avrebbe certamente procurato un sensibile rallentamento economico che poi si trasformò in recessione.
2) Nel 1999, in piena «bolla speculativa» sui titoli legati alla tecnologia, i mercati dei Treasuries iniziarono a prezzare un rischio di surriscaldamento dell'economia e la FED iniziò ad aumentare i tassi nell'autunno del 1999. Il rialzo dei tassi sui bond fu ignorato dalle borse per oltre un anno, fino a quando, nell'autunno del 2000, iniziò il collasso del Nasdaq e di tutti i mercati azionari internazionali. Anche in questo caso, il rialzo dei tassi avrebbe procurato un rischio di rallentamento economico che poi si trasformò in recessione ma il trend rialzista dei mercati azionari, anziché rallentare, aumentò ancora fino all'impatto frontale con la realtà.
3) Nel 2007 le cose furono un po' diverse. I tassi, anziché salire, iniziarono a scendere nel giugno del 2007, sebbene tutti erano pronti a scommettere che i tassi sui bond decennali avrebbero dovuto solo salire perché le prospettive economiche erano fantastiche (come oggi). In effetti, i tassi decennali iniziarono una «inspiegabile» discesa dal 5% al 3,5% mentre, in contemporanea, l'Indice SPX 500 rimase vicino ai suoi massimi fino alla fine del 2007. Nello stesso periodo il tasso tendenziale d'inflazione continuava a salire per toccare i suoi massimi all'inizio del 2008, quando la crisi finanziaria era già in pieno svolgimento. Il mercato azionario iniziò a precipitare nel giugno del 2008 prendendo atto che l'economia era sostenuta da una bolla di credito insostenibile. Anche in questo caso il mercato dei bond aveva inviato un segnale di warning alla speculazione.
“Ci sono altri innumerevoli casi di ampie divergenze tra la view macro proveniente dal mercato dei bond e quella micro proveniente dal mercato dell'equity” fa sapere Maurizio Novelli per il quale i bond, tendenzialmente, sono sempre stati un buon indicatore anticipatore sulle aspettative di crescita economica rispetto agli indici dei mercati azionari.
“La prima cosa che io vedo osservando i mercati è che l'Area Euro è a rischio di deflazione Giapponese (Japanisation) ed i bond della Germania prezzano questo scenario macro. La seconda cosa che mi sembra evidente è che gli Stati Uniti prezzano sui tassi a dieci anni un rischio di rallentamento economico e calo dell'inflazione (esattamente il contrario di quello che pensa l'Equity)” puntualizza Maurizio Novelli.
La direzione che hanno preso i tassi decennali da un anno a questa parte nasconde problemi macro che lo S&P 500 sembra non considerare. La FED non sembra nella condizione di uscire dalla politica dei tassi a zero ma, soprattutto, i Treasuries non sembrano credere alla ripresa in corso già dal gennaio 2014 e non sembrano credere nella Fed! Anzi, la tendenza dei tassi USA a dieci anni sembra pericolosamente orientata al ribasso e questo trend può nascondere un grave rischio per il quadro macroeconomico americano ed Internazionale.
Un altro evidente messaggio che i tassi decennali di Europa, Giappone e Stati Uniti stanno inviando ai mercati è che le politiche reflazionistiche delle Banche Centrali sono ad alto rischio di fallimento o forse sono già fallite. Poiché i grandi cambiamenti sui mercati finanziari sono sempre stati anticipati dal mercato dei bond, non credo sia prudente ignorare quello che tali mercati tendono ad anticipare.
“La mia view non è quindi cambiata e anzi sembra che ciò che dico da mesi sia sempre più confermato dal bond decennale USA. Sebbene il mese di febbraio ci sia stato sfavorevole, non abbiamo modificato la nostra asset allocation. Il bull market dei bond a 10/30 anni è destinato a proseguire su tutta la curva del dollaro perché l'economia USA ha già iniziato a rallentare da circa due mesi. L'inflazione scenderà ancora a causa della caduta dei prezzi energetici. L'Europa, in virtù del QE della BCE, se tutto va bene, potrebbe anche crescere quasi dell'1% nel 2015, ma tutto deve andare bene e senza incidenti. Tuttavia i problemi da risolvere rimarranno irrisolti e la fragilità dell'economia UE non sarà di grande aiuto alla crescita mondiale. Da gennaio 21 Banche Centrali nel mondo hanno ridotto i tassi d'interesse. Non lo leggo come un buon segno per l'economia internazionale perché i tassi erano già molto bassi in tutto il mondo e se il ribasso dei tassi prosegue ancora vuol dire che la ripresa si sta indebolendo. La forza del dollaro e le svalutazioni competitive ci porteranno sull'orlo della deflazione nei prossimi mesi ed i tassi a 10/30 anni scenderanno ancora (già oggi abbiamo tassi negativi su molti importanti mercati)” sottolinea Maurizio Novelli che conclude con una previsione sull’oro: “Il prezzo del metallo giallo, dopo un mese di correzione, riprenderà la sua tendenza rialzista e mi aspetto un target a 1400/1500 dollari l’oncia entro fine anno, grazie al fatto che la FED rimarrà intrappolata nella politica monetaria a tasso zero perché l'economia internazionale eserciterà un effetto negativo su quella USA”.
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