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International Editor's Picks - 07 luglio 2014

7 Luglio 2014 10:05
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Elogio della mostarda
Su Marketwatch Charles Passy si produce in un’appassionata esaltazione del condimento le cui tracce risalgono addirittura agli antichi Romani e che questo weekend è corso generoso sui barbecue degli americani impegnati a festeggiare l’Independence Day. A differenza del ketchup, che rimane sempre lo stesso, la gialla commodity viene continuamente declinata in versioni sempre più raffinate dai brand che si rivolgono ai Gourmet: dal Dusseldorf-style, la cui pubblicità chiede di abbandonare Dijon, alle versioni alla frutta fino alla Tin Mustard che secondo i fan evoca l’aroma del caviale. Tra i plus della mostarda rispetto al suo rosso rivale c’è la salubrità – i produttori francesi giurano che è possibile fare mostarda a calorie zero – e l’essere veramente global. E infatti si sta avvicinando al sorpasso sul ketchup, che va detto resta saldamente in testa nei consumi americani, grazie a vendite in costante aumento dal 2007. Andare short di ketchup e long di mustard?


BNP e la legge del dollaro
Da anni ci si interroga sulla possibilità che il dollaro venga spodestato dal ruolo di moneta egemone negli scambi globali a favore dell’euro o del renminbi. Ma il New York Times trae dal caso di BNP Paribas, costretta ad accettare $9 miliardi di multa per presunte violazioni all’embargo americano nei confronti di Iran, Cuba, Sudan e altri paesi nella lista nera, la lezione che far cadere il dollaro dal trono non sarà affatto facile. Il ragionamento è semplice: del dollaro non si può fare a meno nella transazioni globali, per quanto recondito sia l’angolo del mondo in cui si svolgono, e per fare transazioni in dollari bisogna essere in buoni rapporti con le autorità di controllo americane. Riaffermare questo principio vuol dire ribadire che quando gli USA impongono sanzioni l’effetto si sentirà. E che cercare di aggirarle triangolando su un paese percepito come meno ostile non paga. È la legge del dollaro.


Texas dreaming
Una volta nei sogni c’era la California, oggi il Lone Star State, meglio noto come Texas, almeno in quelli della corporate America. Ad aprile Toyota ha reso noto che sposterà il suo headquarters dalla California a Dallas, mentre Occidental Petroleum Corp ha deciso di lasciare Los Angeles per Houston. Come mai proprio il Texas? Yahoo Finance lo ha chiesto al chief executive della catena di ristoranti CKE, Andy Puzder, che ha scelto proprio il Texas per aprire i prossimi 300 esercizi, pur essendo nata e cresciuta nel Golden State. Il primo motivo è la burocrazia: in Texas ci vogliono 60-63 giorni per un permesso, a Los Angeles 280 e a San Francisco abbiamo perso il conto, spiega Pudzer. Al secondo posto c’è la clientela: la fascia 18-26 che va a mangiare carne e patate da CKE va a vivere dove c’è crescita economica sulla spinta dell’oil & gas.
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