dollaro
Perché l’euro resta forte e il dollaro debole
20 Giugno 2014 15:35

o almeno cinque fattori che giustificano l’attuale forza della moneta unica europea in assoluto e in particolare sul dollaro USA.
Il primo riguarda l’ammontare del bilancio: quello della BCE, la banca centrale europea, non va oltre i 2.124 miliardi di euro (in forte contrazione rispetto ai 3.000 miliardi di inizio 2013) mentre quello della Fed, l’istituto di credito centrale americano, si attesta a circa 4.300 miliardi di dollari (con relativamente poche possibilità che possa essere ridimensionato nel breve medio termine). Ciò determina una massa di dollari in circolazione molto più ampia e diffusa rispetto a quella relativa agli euro: è quello che in gergo tecnico è chiamato effetto liquidità. Ma c’è anche molto di più, oltre al pur importante impatto della liquidità.
A cominciare dalla bilancia commerciale, che vede un attivo strutturale nei paesi dell’eurozona e un deficit sul versante degli Stati Uniti, e dal flusso dei capitali esteri.
Questi ultimi, come il vento, si muovono da un’area ad un’altra dove trovano meno ostacoli e più opportunità: da circa 12 mesi l’Europa è tornata ad essere il posto dove ricercare più opportunità (sia in ambito industriale, visto che la ripresa economica è appena partita, e sia in quello finanziario, dal momento che molti mercati sono ancora distanti dai loro massimi).
Un altro importante fattore di forza relativa dell’euro è poi fornito dalla Cina: le autorità di Pechino, si sono imposte obiettivi di diversificazione valutaria più ampi rispetto al passato per non dipendere molto dal dollaro ed hanno individuato nell’euro una divisa internazionale con i requisiti necessari. Inoltre, anche negli scambi commerciali, la Cina sta cercando di introdurre come valuta base per le transazioni non soltanto il renminbi ma anche l’euro.
A tutti questi fattori si aggiunge, sullo sfondo, la regia di Berlino che muove tutte le sue pedine (soprattutto all’interno della Bce, ma non solo) per evitare qualsiasi svalutazione dell’euro.
Il primo riguarda l’ammontare del bilancio: quello della BCE, la banca centrale europea, non va oltre i 2.124 miliardi di euro (in forte contrazione rispetto ai 3.000 miliardi di inizio 2013) mentre quello della Fed, l’istituto di credito centrale americano, si attesta a circa 4.300 miliardi di dollari (con relativamente poche possibilità che possa essere ridimensionato nel breve medio termine). Ciò determina una massa di dollari in circolazione molto più ampia e diffusa rispetto a quella relativa agli euro: è quello che in gergo tecnico è chiamato effetto liquidità. Ma c’è anche molto di più, oltre al pur importante impatto della liquidità.
A cominciare dalla bilancia commerciale, che vede un attivo strutturale nei paesi dell’eurozona e un deficit sul versante degli Stati Uniti, e dal flusso dei capitali esteri.
Questi ultimi, come il vento, si muovono da un’area ad un’altra dove trovano meno ostacoli e più opportunità: da circa 12 mesi l’Europa è tornata ad essere il posto dove ricercare più opportunità (sia in ambito industriale, visto che la ripresa economica è appena partita, e sia in quello finanziario, dal momento che molti mercati sono ancora distanti dai loro massimi).
Un altro importante fattore di forza relativa dell’euro è poi fornito dalla Cina: le autorità di Pechino, si sono imposte obiettivi di diversificazione valutaria più ampi rispetto al passato per non dipendere molto dal dollaro ed hanno individuato nell’euro una divisa internazionale con i requisiti necessari. Inoltre, anche negli scambi commerciali, la Cina sta cercando di introdurre come valuta base per le transazioni non soltanto il renminbi ma anche l’euro.
A tutti questi fattori si aggiunge, sullo sfondo, la regia di Berlino che muove tutte le sue pedine (soprattutto all’interno della Bce, ma non solo) per evitare qualsiasi svalutazione dell’euro.
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