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International Editor's Picks - 03 marzo 2014

3 Marzo 2014 09:30
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Dopo due anni d’astinenza, nel 2014 torneranno in forze le IPO delle società cinesi di Internet a Wall Street. Lo scrive il Wall Street Journal citando le grandi banche d’affari USA che raccontano di essere piene di mandati e prospetti provenienti dal grande paese asiatico. Internet è il settore su cui puntare in Cina, sostiene il giornale, perché il nuovo modello economico di Pechino si sta spostando dagli investimenti ai consumi come motore della crescita. E consumi oggi vogliono dire Internet, in Cina almeno. Un’occhiata alle società in lista d’attesa lo conferma. La IPO più importante in arrivo è quella di JD.com, portale di e-commerce, 1,5 miliardi di dollari attesi. Un’altra è quella da mezzo miliardo di Sina, un retailer online specializzato in cosmetici. Non c’è solo e-commerce: l’altro grande filone è quello delle piattaforme di viaggi, visto che decine di milioni di cinesi si affacciano al turismo internazionale - d’affari e non. E vanno su Internet per prenotare voli e alberghi.

Aggiornamento su IoT - Internet of Things o in italiano Internet delle Cose. Leggiamo su Business Insider che i device (dai termostati intelligenti ai parchimetri) collegati in un modo o l’altro a internet oggi in giro per il mondo sono 1,9 miliardi. Nel 2018, secondo le stime dell’Intelligence Unit del portale di informazione finanziaria, saranno 9 miliardi. Un numero pari a quello di tutti gli smartphone, smart TV, tablet, portatili e PC messi insieme. Tutti questi device produrranno trilioni di dollari di valore economico migliorando l’efficienza e la produttività dell’economia globale, saranno presenti ovunque nella vita economica e sociale. La migrazione su Internet delle cose è già iniziata per molti beni e servizi: dalle cucine, agli elettrodomestici, all’illuminazione pubblica e privata, fino alle auto dotate di device che consentono di pagare l’assicurazione solo per l’effettivo tempo di guida. Secondo Cisco sono tre i macrosettori di IoT su cui puntare: pubblicità e marketing, fabbriche intelligenti e tutte le applicazioni di supporto alle telecomunicazioni. Una ricerca stima che il solo pagamento di pedaggi e di altri costi legati alla circolazione tramite l’IoT produrrà in Usa ricavi per 100 miliardi di dollari nel 2020.

Il Financial Times di mercoledì 26 febbraio ci informa che potrebbe esserne in arrivo un colossale buy-back, più del doppio di quanto speso da Apple a inizio anno investendo in azioni proprie. Ma questa volta non si parla dei colossi high-tech, ma dalla finanza. Secondo il giornale della City infatti J.P. Morgan ha un “tesoretto” di free capital di 30 miliardi di dollari e vuol distribuirlo agli azionisti. Tra le modalità allo studio ci sarebbe proprio il riacquisto di azioni proprie, a un prezzo più alto di quello espresso attualmente dal mercato. Sarebbe una dimostrazione di forza e di fiducia nel titolo formidabile, tenendo conto che la grande banca americana nel 2013 ha sostenuto spese legali per oltre 20 miliardi di dollari per chiudere le mille code velenose lasciate in eredità dalla crisi dei subprime.

Cosa hanno in comune le automobili e i telefonini? Se la domanda è rivolta a Tesla la risposta è sicura: le batterie. Ovviamente non quelle per le luci ma quelle che sostituiscono il motore. Il San Francisco Chronicle informa che, mentre quattro grandi stati americani si contendono la Gigafactory che la casa USA di auto elettriche vuol costruire tra Texas e Nevada per produrre batterie e dar lavoro a 6.000 persone, il CEO di Tesla Elon Musk è passato a trovare i vertici di Apple a Cupertino. Intanto in città girano voci che Apple voglia addirittura comprare Tesla. Secondo il giornale della Baia non è detto che andrà proprio così, ma osserva che con la nuova megafabbrica il core business di Tesla non saranno le auto, ma le batterie. E perché allora produrle solo per guidare silenziosamente e senza inquinare? Le batterie servono praticamente dappertutto, ma soprattutto per far funzionare smartphone e tablet. La visita a Cupertino di Musk potrebbe essere allora semplicemente quella di un produttore da un cliente potenziale molto importante: “ragazzi, servono batterie?” E magari la risposta è stata: ti compro direttamente la fabbrica. Costruirla costa tra i 4 e i 5 miliardi di dollari. Non proprio fuori dalla portata di Apple che ha in cassa qualcosa come 140 miliardi.

L’Ucraina è in prima pagina in Italia come nel resto del mondo. Ma il Washington Post si chiede come mai questa volta, a differenza di altre crisi simili, la Russia preferisca mostrare i muscoli militari e non quelli energetici, vale a dire le forniture di gas. La risposta del giornale americano è articolata e prende in considerazione molti fattori: l’economia ucraina oggi è più efficiente e spreca meno energia, l’Europa si è attrezzata con i terminali per il gas liquido e dipende meno da Gazprom, la norvegese Statoil ha superato il colosso russo nelle forniture di gas all’Europa e, sullo sfondo, il boom dello shale gas americano. Ma la conclusione è semplice: l’arma energetica della Russia è sempre più spuntata.
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