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Banca Centrale Giappone

Il carry trade affossa le valute emergenti

27 Gennaio 2014 10:00
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I media di tutto il mondo hanno intitolato i loro servizi sull’orso dei mercati finanziari di venerdi 24 gennaio come un altro black Friday delle Borse. In realtà, la forte correzione dei listini azionari, che hanno perso tra i due e i tre punti percentuali in una sola seduta di Borsa, è stata la conseguenza di un altro fenomeno: la vendita a piene mani delle valute dei paesi emergenti, sia tramite titoli (azioni e bond) che per mezzo di fondi ed ETF. Ma come mai gli investitori hanno cercato di liberarsi dall’esposizione ad asset degli emerging markets determinando il crollo delle divise emergenti?

A causa delle banche centrali, ovvero a seguito del tapering della Fed (cioè la riduzione di acquisto di obbligazioni a medio lungo termine americane) e della riduzione del QE (quantitative easing) della Banca del Giappone (BoJ). Ma se il tapering, almeno per ora, è delineato nella sua estensione - 10 miliardi di dollari al mese in meno di acquisto di titoli da parte della Fed - molto meno lo è quello della BoJ.

Secondo alcuni attenti osservatori, infatti, da alcuni giorni c’è la percezione di una contrazione del mare di yen sui mercati che fino a poco tempo fa era garantito dall’istituto centrale di Tokyo, con il risultato che il carry trade ha meno benzina per la speculazione: gli investitori, non potendo disporre di yen a buon mercato da prendere a prestito a tasso (praticamente) a zero per finanziare operazioni a più alto rischio e maggiore rendimento (in titoli e ETF azionari, in bond high yield e in titoli degli emerging markets), preferiscono vendere a qualsiasi prezzo, chiudere le posizioni, e mettersi alla finestra come hanno già fatto tra maggio e giugno dello scorso anno.
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