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La riduzione del debito

16 Gennaio 2013 08:00
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Dopo il fallimento della banca d’affari americana Lehman Brothers (settembre 2008), dell’inizio della crisi greca (primavera 2010) e della deflagrazione del debito sovrano della zona euro (estate 2011), i mercati sono diventati estremamente attenti ai debiti statali e societari.

Va precisato che i debiti, gli Stati e le aziende, li hanno sempre avuti anche in passato ma in questo contesto gli investitori sono molto più preoccupati. Le ragioni vanno ricercate nel credit cruch e nella recessione economica (soprattutto europea).

Il credit crunch, ovvero la forte contrazione da parte delle banche nel concedere mutui, prestiti e credito a famiglie e società, ha fatto lievitare il costo dei finanziamenti alle imprese e quelle più indebitate devono quindi pagare maggiori interessi a parità di esposizione debitoria: se a questo si aggiunge che i margini di profitto aziendali sono in forte contrazione per effetto del rallentamento economico, ecco che scatta l’allarme sulla sostenibilità nel tempo da parte delle imprese di pagare gli interessi e di restituire alla scadenza il capitale ricevuto in prestito.

Sul versante degli stati, invece, per salvare le banche che rischiavano di fallire dopo il crac della Lehman Brothers, i Paesi europei e gli Stati Uniti hanno incrementato a dismisura il loro debito pubblico che in molti casi ha raggiunto picchi storici. In questo scenario diventa molto importante per le aziende e gli stati ridurre i debiti, soprattutto nel caso in cui abbiano raggiunto livelli molto sostenuti.

Ogni sforzo che va in questa direzione viene infatti premiato dal mercato che, viceversa, punisce vendendo i titoli, e facendo quindi aumentare i tassi di interesse da pagare, degli stati e delle imprese meno proattivi sul fronte del debito.
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