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L’evoluzione dei fondi sovrani

8 Novembre 2012 08:00
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Il loro è un fenomeno relativamente recente ma è ormai certo che il loro ruolo sui mercati finanziari è destinato a crescere sempre di più nei prossimi anni. Loro sono i fondi sovrani, la maggior parte dei quali (circa il 67%) ha avviato l’operatività dopo il 2000. Il notevole sviluppo dei fondi sovrani a livello globale si affianca a cambiamenti nelle strategie d’investimento perseguite.

Infatti, fino a 5 anni fa, i fondi sovrani adottavano politiche d’investimento molto conservatrici e il loro patrimonio era impiegato in larga parte in titoli di Stato statunitensi. A partire dal 2007, complici il forte balzo del prezzo del petrolio (anno nel corso del quale le quotazioni del Brent salirono dai 58,5 dollari al barile di inizio gennaio ai 98,5 dollari di fine dicembre) e l’aumento di numerose altre materie prime, ha consentito ai paesi ricchi di risorse naturali di accrescere in misura consistente i flussi di entrate nelle casse dei fondi sovrani.

Questo ha determinato la necessità di una maggiore diversificazione di portafoglio investendo anche in partecipazioni azionarie e valutaria: in questo ambito ha inciso anche il processo di svalutazione del dollaro Usa che ha reso meno appetibili i titoli di Stato Usa. Tra il 2007 e il 2011 il patrimonio gestito dai fondi sovrani è cresciuto da 2 a 4,6 miliardi di dollari, passando da 3% al 6% circa del Pil mondiale.

In base al patrimonio in gestione a fine 2011, i fondi sovrani dell’Asia contavano il 44% del totale, seguiti da quelli del Medio Oriente e Nord Africa (32%) e da quelli Europei (18%): quote residuali per i fondi sovrani dell’America Latina (2%), del Nord America (25) e dell’Australia (2%).

È infine importante notare come sia cambiato il peso percentuale del flusso degli investimenti dei fondi sovrani; nel 2007, il 50% era indirizzato verso i mercati finanziari tradizionali (azioni, bond), il 25% in immobili e il 25% in industria e servizi mentre nel 2010 ai mercati finanziari è stato indirizzato il 40% dei flussi, il 42% all’industria e servizi (in particolare nelle infrastrutture), un 8% in immobili e il restante 10% in investimenti alternativi (hedge fund e fondi di private equity).
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