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La diversificazione valutaria emergente

9 Luglio 2012 08:00
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Con la crisi dell’eurozona anche gli investitori meno esperti hanno fatto i conti con la necessità di provvedere a una qualche esposizione in valuta estera. Il problema è che la classica diversificazione sulle principali valute extra euro, cioè il dollaro Usa, lo yen giapponese, la sterlina inglese e il franco svizzero consente di guadagnare durante le fasi in cui la moneta unica europea è debole ma impone un andamento inverso non appena l’euro tende a stabilizzarsi.

Ne deriva che l’effetto in portafoglio è quello di un aumento della volatilità, soprattutto nel breve termine, ma anche nel medio e lungo periodo. Ecco quindi che la raccomandazione è di puntare sulle valute dei Paesi in via di sviluppo in modo da beneficiare del trend positivo di lungo termine delle loro economie.

Inserendo in portafoglio quote in valuta di Paesi emergenti, l’investitore non punta tanto sulla rivalutazione immediata rispetto alla debolezza dell’euro (come invece di fatto avviene con il dollaro Usa e le altre tre principali divise internazionali extra euro), quanto piuttosto sulla capacità di apprezzarsi con gradualità nel tempo di queste monete.

Le economie dei Paesi in via di sviluppo possono vantare, oltre a un buon tasso di crescita (le stime per il 2012 parlano di un +5,7% e quelle per l’anno successivo di un +6,2%), budget di bilancio statali in ordine, rapporti debito / pil di norma ben inferiori al 60%, un saldo positivo delle partite correnti e ingenti e crescenti riserve valutarie.

Investire nei fondi obbligazionari Paesi emergenti in local currency (quindi senza copertura del rischio di cambio) significa però sottoscrivere prodotti con un profilo di rischio superiore non soltanto a quello dei fondi monetari area euro ma anche a quello dei monetari in valuta estera.

La ragione è che, oltre alla componente valutaria, questi fondi investono in titoli a reddito fisso (governativi e corporate bond) dei paesi in via di sviluppo: quindi ogni movimento dei tassi di interesse di questi stati si ripercuote sul prezzo dei titoli aumentandone la volatilità nel tempo.

Come ridurre questo inconveniente? La soluzione consiste nel sottoscrivere comparti la cui esposizione al rischio valutario viene gestita in maniera flessibile e, soprattutto, attraverso l’utilizzo di titoli a reddito fisso denominati in valuta locale con una scadenza media non superiore ai due anni.
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