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Mercati emergenti, la “Nuova Geografia” di Capital Group

Guerra commerciale e dollaro forte sembrano al momento non penalizzare i mercati emergenti. Il valore aggiunto deriva dal guardare dove viene generato il fatturato.

6 Luglio 2018 15:29

Quando si parla di investimenti nei mercati emergenti, occorre fare molteplici riflessioni e analisi perché si tratta di un universo variegato con situazioni molto diverse, non soltanto a livello di area geografica ma anche di singoli paesi e di modello di business e consumi.

L’APPROCCIO ‘NUOVA GEOGRAFIA’


A questo proposito, Natasha Braginsky Mounier, Direttore investimenti azionari di Capital Group, rivela di adottare un approccio distintivo agli investimenti nei mercati emergenti, chiamato ‘Nuova Geografia’.  Ecco di cosa si tratta: “Ci concentriamo nella selezione sia tra i campioni locali che tra i leader globali. Questo perché non ci limitiamo a considerare il domicilio delle società (e cioè se siano o meno in aree emergenti) ma piuttosto guardiamo a dove viene generato il fatturato. L’obiettivo è quello di poter contare su un più ampio ventaglio di opportunità d’investimento nei paesi in via di sviluppo, tra cui società uniche e ben posizionate che offrono esposizione alla crescente middle class dei mercati emergenti” specifica l’esperta.

LE IMPLICAZIONI DELLE TENSIONI COMMERCIALI


Natasha Braginsky Mounier non trascura, però, le implicazioni che hanno (o possono avere) alcuni eventi specifici quali le tensioni commerciali e il dollaro forte. “Allo stato attuale delle cose, l’impatto economico dei dazi USA sulla crescita e sulle esportazioni dei paesi emergenti resta contenuto grazie all’esposizione relativamente ridotta ai settori più colpiti. Tuttavia le effettive conseguenze dipenderanno dalle reazioni di Cina e USA” spiega l’esperta, ricordando come la crescita degli scambi a livello globale costituisca un fattore chiave per l’attività economica degli emergenti: un calo in questo senso avrebbe sicure ripercussioni negative per l’asset class.

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IL PESO DEL DOLLARO FORTE


Per quanto riguarda invece il dollaro, è vero, ammette Natasha Braginsky Mounier, che un biglietto verde forte non è certo positivo per i paesi in via di sviluppo e questo soprattutto per quelli più esposti al debito in dollari: se la moneta di Washington sale, anche gli interessi da pagare aumentano. Oltre a ciò pesano anche i deficit delle partite correnti (particolarmente gravi nel caso di Argentina e Turchia) e la dipendenza dai finanziamenti stranieri (come nel caso del Sudafrica). “Detto questo, gli emergenti sono generalmente in condizioni migliori oggi rispetto a qualche anno fa e dovrebbero essere in grado di resistere a un dollaro forte” puntualizza l’esperta.

HI TECH DI CINA, USA E ASIA


Ma dove vede buone opportunità Natasha Braginsky Mounier? “Nelle società tecnologiche di Cina, USA e Asia in generale, dalle società di internet ai produttori di componenti elettroniche e semiconduttori, che dovrebbero beneficiare del maggiore utilizzo di smartphone, servizi mobili e e-commerce” è la risposta dell’esperta.

LA NUOVA DIREZIONE DELLA CINA


Un discorso a parte merita invece la Cina, che sta indirizzando la crescita dalla quantità (export di prodotti e servizi a basso valore aggiunto) alla qualità e sostenibilità, con consumi interni più sostenuti ed un export caratterizzato da maggiori contenuti. “L’economia cinese si sta concentrando sullo sviluppo di qualità dopo anni di rapida crescita. Un processo nel quale le riforme sul lato offerta dovrebbero riuscire a migliorare in modo strutturale diverse industrie cicliche, a ridurre l’inquinamento e a limitare i rischi di sofferenze (NPL) all’interno del sistema bancario. Queste riforme, combinate alla continua crescita globale e alle recenti tensioni commerciali, dovrebbero essere positive per i prezzi di materie prime ed energia” riferisce Natasha Braginsky Mounier.

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ATTENZIONE ALLA SPESA SANITARIA


Il tutto, fa infine notare l’esperta, senza trascurare il tendenziale aumento della spesa sanitaria futura dovuto a una crescente attenzione alla salute e all’innalzamento dell’età media.“L’healthcare rappresenta meno del 3% dell’indice MSCI EM, e quattro nazioni (India, Cina, Corea del Sud e Sudafrica) costituiscono l’80% del peso del settore, a testimonianza di quanto sia importante un approccio globale per catturare lo sviluppo della crescita della spesa sanitaria nei mercati emergenti” conclude Natasha Braginsky Mounier.
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