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Forniture strategiche: la Ue pronta a prevenire un rischio Cina dopo lo shock del gas russo

La dipendenza da fornitori inaffidabili costò cara nella crisi del petrolio degli anni 70, la storia si è ripetuta con la guerra in Ucraina ma l’Europa si è mossa unita e sembra pronta a contenere Pechino sui materiali

di Virgilio Chelli 3 Luglio 2023 09:28
financialounge -  economia materie prime petrolio Weekly Bulletin

Garantirsi forniture affidabili a costi contenuti di energia e materie prime è stata certamente la chiave della crescita delle economie occidentali dal dopoguerra in poi. La ‘benzina’ del boom degli anni 50 e 60 del secolo scorso fu sicuramente il petrolio dei paesi arabi, che fino all’inizio degli anni 70 viaggiava sotto i 4 dollari al barile. Poi l’embargo contro gli USA deciso dall’Opec a seguito della Guerra del Kippur con Israele lo fece quadruplicare tra fine 1973 e inizio 1974, fino a sfondare i 30 dollari a fine del decennio, un livello equivalente a 125 dollari di oggi. In Europa, l’Italia rispose alla crisi con le famose ‘domeniche a piedi’, la Francia invece con una violenta accelerazione sul nucleare, passando da 3-4 centrali a oltre 50 nel settennato di Valéry Giscard d'Estaing tra il 1974 e il 1981. Evidentemente la risposta giusta non era rinunciare all’automobile o all’illuminazione notturna, ma liberarsi da una dipendenza esterna che poteva diventare ricattatoria, e infatti ancora oggi i cugini d’oltralpe ci vendono l’elettricità che gli avanza.


L’EUROPA NON È PIÙ QUELLA DEGLI ANNI ’70


All’inizio del millennio la storia si ripete, o meglio ‘parla in rima’, per dirla alla Mark Twain: soprattutto in Europa il gas ha preso il posto del petrolio per molti usi civili e industriali, anche se non per automobili, navi e aerei. A molti paesi, Germania in testa, la Russia di Putin sembra quello che erano stati i paesi arabi mezzo secolo prima, forniture costanti a basso costo, fino al punto che un ex Cancelliere, il predecessore della Merkel Gerhard Schröder, riceve un ingaggio milionario nel board di Gazprom. Poi anche qui una guerra, questa volta in Ucraina, cambia radicalmente le carte in tavola, e ancora una volta le mani sul rubinetto delle forniture ce le ha l’aggressore Putin. Ma l’Europa non è più quella degli anni 70, reagisce compatta e determinata, impone sanzioni durissime e va in cerca rapidamente di alternative, con il risultato che il prezzo del gas sul mercato di Amsterdam si riporta vicino ai livelli pre-crisi.


SI PREPARA SENZA ASPETTARE LA PROSSIMA GUERRA


In piena transizione energetica verso l’elettrico a 360 gradi, il problema delle forniture oggi non riguarda più solo petrolio e gas, ma una serie di materie prime e componenti essenziali per realizzare l’uscita epocale dai combustibili fossili, dalle terre rare ai chip. Al posto degli arabi di 60 anni fa e della Russia di inizio millennio c’è la Cina, che presidia tutta la filiera dell’elettrico, dalle materie prime come le terre rare, che estrae anche nelle ‘colonie’ africane, alla componentistica delle rinnovabili nel solare e nell’eolico e soprattutto nell’alimentazione delle auto elettriche, fino ai chip che hanno preso il posto di pistoni e pulegge nella mobilità di nuova generazione. Ma questa volta sembra che l’Europa non voglia aspettare la prossima guerra, magari per Taiwan invece che ai confini di Israele o in Ucraina, per prepararsi ed evitare di diventare prigioniera di una nuova dipendenza strategica.


IN TANDEM MA NON APPIATTITA SUGLI USA


Finora la UE si muove bene, in tandem ovviamente ma non appiattita sugli Usa che con l’Inflation Reduction Act di Biden fanno prima di tutto i propri interessi anche se a scapito degli europei, e tesse una strategia globale per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e di materie prime, muovendosi dal Nord Africa all’India fino al Sud America. Un tassello importante è stato messo qualche giorno fa a Berlino, dove Francia, Italia e Germania si sono impegnati a cooperare sui materiali, a cominciare dalla terre rare, essenziali per la transizione elettrica, per le quali oggi l’Unione dipende al 95% dalle importazioni cinesi, ma anche nel digitale. L’accordo dovrebbe dar vita a una legislazione comunitaria per creare un’agenzia unica di acquisto estesa anche ad altri elementi chiave come il litio. Enel chiede di aggiungere anche il polysilicone, essenziale per i pannelli solari.


ALLA RICERCA DI PARTNERSHIP IN TUTTO IL MONDO


Intanto continuano i colloqui con Londra sull’Euratom, insieme al carbone e all’acciaio uno dei tre pilastri iniziali della Comunità Europea piantato nel futuro per lo sviluppo dell’energia nucleare, in cui la Gran Bretagna potrebbe rientrare nonostante la Brexit. La presidente della Commissione è inoltre volata in Cile per stringere anche qui un accordo bilaterale sui materiali necessari alle nuove produzioni energetiche, dato che il paese sudamericano oltre che di rame è anche un grande produttore di litio. Il tutto mentre va avanti il negoziato con gli USA per i ‘Materiali Critici’ per i veicoli elettrici, che potrebbe portare a un accordo da includere nell’Inflation Reduction Act di Biden ed evitare così all’industria europea di restare tagliata fuori dalla catena di fornitura per il settore automobilistico americano.


BOTTOM LINE


Con la guerra in Ucraina e la crisi energetica che ne è seguita l’Europa aveva mostrato di aver imparato, o ricordato poco dei problemi con il petrolio arabo di 60 anni prima. Ma la risposta è stata ferma, efficace e soprattutto unitaria. La transizione energetica è troppo importante per ritrovarsi ancora prigionieri di una dipendenza strategica esterna e poco affidabile, come quella dalla Cina, e limitarsi ad andare a rimorchio degli USA non basta, anche perché non è ancora chiaro chi ci sarà alla Casa Bianca tra poco più di un anno. Per ora la leadership di von der Leyen , con il ruolo che sembra ritrovato da parte di tre grandi paesi fondatori, si muove sulla rotta giusta. Per l’investitore, come sempre e più che mai, grandi opportunità non senza rischi.
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