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Banche centrali, perché dovrebbero essere unite contro la deflazione

11 Novembre 2015 10:35
financialounge -  banche centrali deflazione Ethenea Federal Reserve tassi di interesse Yves Longchamp
Se si analizzano le esperienze di 38 paesi negli ultimi 140 anni le conclusioni sembrano contraddire l’opinione dominante: la deflazione è raramente associata alla recessione. “In Svizzera la deflazione si è materializzata dal 2011: i prezzi al consumo sono diminuiti di oltre il 3 % negli ultimi 4 anni, ma nello stesso periodo il PIL ha registrato una crescita annua dell’1,5 %. In Giappone, tra il 1998 e il 2012, i prezzi al consumo sono calati del 4,5 % e il PIL ha evidenziato un’espansione media annua dello 0,6 %” sottolinea Yves Longchamp, CFA, Head of Research presso ETHENEA Independent Investors (Schweiz) AG. Pur riconoscendo alle banche centrali il coraggio di intervenire nel pieno della crisi finanziaria globale con audacia, ricorda come oggi l’obiettivo di perseguire l’inflazione a tutti i costi venga messo in discussione. Secondo l’economista, i prezzi di mercato reagiscono più agli annunci, alle promesse e alle azioni delle banche centrali che agli sviluppi del ciclo economico. Un certo disallineamento è evidente ovunque.

“In aggiunta, la mancanza di cooperazione tra le autorità monetarie è dannosa. Dal momento che i mandati delle moderne banche centrali prevedono quasi sempre il perseguimento di un target di inflazione e che la bassa inflazione è un fenomeno globale, la cooperazione condurrebbe probabilmente a un esito migliore” sostiene Yves Longchamp che cita stime dell’FMI a settembre secondo le quali l’inflazione mondiale si è attestata al 2,3% (allo 0,0% nelle economie avanzate), il dato più basso (ad eccezione di un paio di mesi nel 2009) dall’inizio della serie storica, nel 1969.

Perché le banche centrali non cooperano nuovamente per contrastare la deflazione, come richiede il loro mandato? “«Unite contro la deflazione» sarebbe un motto di sicuro impatto. Se tutte le maggiori banche centrali fissassero i tassi d’interesse al medesimo livello negativo e varassero un quantitative easing su scala globale, adottando programmi di acquisti di dimensioni simili in percentuale del PIL, il loro intervento sarebbe quanto mai efficace e si eliminerebbero quelle asimmetrie nelle politiche monetarie che possono alimentare una guerra valutaria” asserisce Yves Longchamp secondo il quale in questo scenario un rialzo dei tassi da parte della Fed in dicembre sarebbe molto istruttivo, poiché indicherebbe che l’economia statunitense è al di sopra della mischia e che la Fed è indipendente ma poco cooperativa. D’altro canto, fa notare il manager, in assenza di un rialzo dei tassi non sapremmo se la Fed sia pronta a cooperare; si potrebbe però dedurne che non è indipendente, in quanto non sarebbe disposta ad andare in controtendenza rispetto a un allentamento.

Lo studio sui costi della deflazione menzionato in precedenza pone un interrogativo fondamentale: se deflazione non fa rima con depressione e nemmeno con recessione, perché mai bisognerebbe evitarla a tutti i costi? I tassi d’interesse estremamente bassi e l’abbondante liquidità conducono a un’allocazione distorta del capitale. “Questo porta a sua volta all’assunzione di rischi eccessivi, poiché il rischio viene sottovalutato e la ricerca di rendimento diventa un’ossessione, incrinando l’edificio finanziario” puntualizza Yves Longchamp. Se la causa della deflazione è da ricercarsi innanzitutto in uno squilibrio tra l’offerta e la domanda globali di materie prime e prodotti manifatturieri, in un eccesso di offerta sul mercato del lavoro e in una rivoluzione tecnologica di ampia portata che migliora le nostre vite, la politica monetaria è male equipaggiata per combatterla e potenzialmente pericolosa. Benché sia possibile una risposta coordinata alla bassa inflazione, un ampliamento del QE europeo e una potenziale ulteriore riduzione dei tassi d’interesse in territorio negativo sembrano sviluppi più certi.

“Il 3 dicembre vivremo un altro D-day, dove la «D» sta sia per Draghi sia per disallineamento. Attendiamo con interesse questo evento dal punto di vista finanziario, ma restiamo prudenti. La credibilità delle banche centrali è misurata in base alla loro capacità di ottemperare al proprio mandato ma anche di convincere gli investitori, i consumatori e gli esportatori di avere la situazione sotto controllo” conclude Yves Longchamp che, alla luce di tutte queste considerazioni, resta ottimista sulle obbligazioni su ambo le sponde dell’Atlantico, vede con favore le prospettive di singoli emittenti nel mercato del credito ed è moderatamente fiducioso nei confronti delle azioni. Ciò nonostante, preferisce comunque assumere cautela a fronte della possibilità di ampie correzioni.
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