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Reti di promotori, perché tanti riscatti dai fondi obbligazionari

10 Giugno 2015 10:05
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C’è un particolare, nei dati di raccolta mensile diffusi da Assoreti, che colpisce gli osservatori: la conferma che anche ad aprile la raccolta netta relativa ai fondi obbligazionari sia stata negativa per 313 milioni di euro, in netta controtendenza con i flussi registrati agli sportelli bancari per questa categoria di fondi (+4,9 miliardi di euro). Da inizio anno, le reti di promotori finanziari hanno accumulato -1,8 miliardi di euro di deflussi netti dai fondi obbligazionari (a fronte di un saldo positivo per 9,4 miliardi per quanto riguarda l’insieme dei fondi comuni) mentre la medesima categoria di fondi ha contabilizzato sottoscrizioni nette per 18,6 miliardi tramite le banche.

Questa importante divergenza è spiegabile principalmente dalla diversa impostazione della vendita dei prodotti. Allo sportello si punta soprattutto a sfruttare la disaffezione dei risparmiatori verso i titoli di stato e le obbligazioni, i cui tassi di interesse sono vicini allo zero, proponendo come prima alternativa i fondi obbligazionari. I promotori, invece, forti del rapporto di fiducia instaurato negli anni con il cliente, tendono a proporre soluzioni di medio lungo termine.

Questo approccio è verificabile sia nel maggiore ricorso, da parte dei consulenti, ai fondi bilanciati, alle gestioni patrimoniali e alle polizze di tipo unit linked: prodotti del risparmio gestito che si prestano meglio ad un passaggio graduale verso le asset class più rischiose rispetto a quelle a reddito fisso. Non solo. Nel caso delle polizze unit linked, il promotore può allestire un giardinetto finanziario non soltanto diversificato ma anche ottimizzato dal punto di vista fiscale grazie alle peculiarità che questo tipo di contratti garantiscono ai clienti. Non a caso, su 9,4 miliardi di raccolta netta delle reti di promotori da inizio anno, 2,2 miliardi fanno capo ai fondi bilanciati, 680 milioni alle gestioni patrimoniali e 5,2 miliardi alle polizze unit linked.

L’approccio delle grandi reti di promotori in Italia è peraltro in sintonia con le tendenze in atto (e, soprattutto, in prospettiva) a livello internazionale. Infatti, molti asset manager stanno osservando che la migrazione degli investimenti dal reddito fisso all’equity potrebbe presto avere un’accelerazione.

“Mentre le valutazioni dei titoli di stato benchmark (in particolare i Bund tedeschi e i Treasury USA) sono diventate meno negative dopo i recenti movimenti al rialzo dei tassi, il quadro tecnico resta nettamente negativo, sostenendo ulteriormente il nostro parere contrario sui titoli di stato. Sul fronte dei bond societari, nonostante la resistenza degli spread al recente sell-off (vendita sul mercato di titoi senza limitazioni di prezzo e quantità) del reddito fisso, vediamo del potenziale per un allargamento degli spread. In Europa la Grecia continua a rimanere un rischio a breve termine, mentre un’offerta imponente di nuove emissioni su entrambi i versanti dell’Atlantico, una crescente attività di M&A dominata dalle aziende statunitensi e un eccesso di indebitamento da parte delle imprese dei mercati emergenti potrebbero accelerare il ciclo del credito a medio termine. Non solo, con l’aumento dei rendimenti benchmark che spinge i rendimenti totali in territorio negativo, il rischio di una rotazione dai bond societari alle azioni non andrebbe sottostimato” commenta Jessie Gisiger, Fixed Income Analysis di Credit Suisse.
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