Contatti

petrolio

International Editor's Picks - 23 marzo 2015

23 Marzo 2015 10:15
financialounge -  petrolio Russia shale oil titoli di stato USA Vladimir Putin
Qual è il titolo petrolifero più importante del mondo oggi? Se lo chiede il sito USA Jubak Stock specializzato in stock picking per rispondersi che non è un nome noto di colossi come ExxonMobil, Petrobras, Aramco o Rosneft. No, la risposta giusta ha il nome di Whiting Petroleum, una compagnia USA relativamente piccola (siamo in America, vuol dire che capitalizza in Borsa poco meno di 7 miliardi) che recentemente è stata messa in vendita. Se la vendita va bene, ragiona Jubak, vorrà dire che i big si sono convinti che siamo intorno al bottom dei prezzi e che conviene comprare, secondo l’antichissima regola del buy low and sell high. Sarebbe anche il segno di una stabilizzazione in preparazione di un bel rally. Se invece non si fanno avanti compratori allora bisogna prepararsi a un barile ancora in calo: bye-bye rally almeno fino alla seconda metà del 2015. Whiting controlla oltre un milione di acri in campi petroliferi tra Nord Dakota e Colorado con riserve di 780 milioni di barili proiettate a 1,3 miliardi nel 2019. Per un big che vuol posizionarsi nel boom dello shale oil è l’asset ideale, e il Wall Street Journal ha già fatto i nomi di ExxonMobil, Statoil, Hess e Continental Resources.

Un bello scudo fiscale per i capitali che rientrano in patria. Non è un’idea particolarmente nuova ma il presidente russo Vladimir Putin ci crede. Secondo quanto ha riferito l’Associated Press l’inquilino del Cremlino ha riunito giovedì scorso un buon numero di miliardari e, a porte chiuse, li ha sollecitati a far rientrare in fretta più capitali possibili oggi detenuti all’estero, dove secondo Putin, rischierebbero di finire congelati nell’ambito delle tensioni con l’Occidente. Putin ha avvertito i miliardari che, secondo informazioni riservate raccolte nei paesi dove si trovano i capitali russi all’estero, il rischio di vederseli bloccati è concreto, quindi meglio rimpatriarli il prima possibile. L’anno scorso sono fuggiti dalla Russia oltre 150 miliardi di dollari. Già a dicembre Putin aveva proposto una franchigia fiscale sul rientro dei capitali e ora ha rilanciato l’idea davanti ai miliardari. Il momento sembra quello giusto, il rublo si è stabilizzato nonostante la banca centrale abbia abbassato i tassi per sostenere l’economia e nei primi mesi dell’anno il deflusso di capitali ha rallentato significativamente.

Tassi zero o negativi in giro per il mondo spingono i governi di alcuni tra i paesi più a rischio del mondo ad affacciarsi sul mercato del debito per spuntare costi ai minimi di tutti i tempi, e gli investitori rispondono indifferenti al rischio e attratti da rendimenti introvabili altrove. Il Wall Street Journal riferisce che la scorsa settimana soltanto Armenia, Bulgaria, Perù e Ecuador si sono messi in fila per piazzare bond da centinaia di milioni di dollari sul mercato globale. I rendimenti sono decisamente competitivi: si va dal 3% e oltre della Bulgaria (che per le agenzie di rating non è junk), al 4,7% del Perù, al 7,5% dell’Armenia fino al 10% e rotti per l’emissione in dollari ecuadoregna. Sono tutte emissioni in dollari, e il dollaro continua a correre. Se corre troppo il rischio è che gli emittenti (che incassano le tasse in divisa locale e non in dollari) non ce la facciano a star dietro a cedole che si rivalutano.
Share:
Trending