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DeepSeek e gli altri nomi dalla Cina: facciamo bene a preoccuparci?

Il nuovo nome dell’intelligenza artificiale che sta facendo tribolare tutti, dai giganti del tech ai piccoli utenti: ma è davvero così pericoloso?

di Lorenzo Cleopazzo 2 Febbraio 2025 09:30

financialounge -  DeepSeek economia sunday view
Venti. Ma ‘venti’ cosa?

Come a scuola: se non mettiamo l’unità di misura, un numero potrebbe rappresentare qualsiasi cosa. Venti centimetri? Litri? Mele? Pere? No, venti percento di risparmio di energia. Di Watt, per essere sinceri.

Se qualcuno tra chi legge ha mai praticato uno sport di endurance, sa bene quanto cambi tra pedalare o correre con davanti qualcuno, e farlo col vento in faccia. Essere in prima linea, con la strada davanti e l’aria a fare da attrito, ci espone a una maggiore fatica rispetto a starsene ben coperti dietro qualcuno che fa il lavoro sporco al posto nostro. Per quantificare, parliamo di un risparmio energetico di circa il 20% di Watt. E mica poco, anzi! Per dirla in altro modo: ci si stanca meno, e di tanto.

Ma cosa succede se poi chi sta dietro decide di sfruttare questo vantaggio per superare chi invece ha faticato di più? Antisportività o giustificato opportunismo?

Anziché scartabellare manuali di etica aristotelica, basterebbe chiederlo a ChatGPT, e saprebbe darci una risposta. Oppure potremmo provare quello nuovo, quello cinese, quello con sopra la balenottera, come si chiama...? Ah già, DeepSeek.

In effetti è difficile non ricordarselo, tanto siamo stati bombardati da articoli, post e analisi su questa nuova piattaforma di AI. Anche qui, come chi commenta un ciclista che la fa in barba a un altro, c’è chi dice bene e chi dice male, chi è favorevole e chi è contrario.

E noi? Ormai lo sapete: noi cerchiamo di analizzare entrambe le posizioni, poi si vedrà.

Benvenuti a un nuovo appuntamento con Sunday View, e buona lettura.

UNA SIMPATICA BALENOTTERA


2025: l’anno nuovo è iniziato con un gennaio lunghissimo. Trentuno, interminabili, giorni in cui un tema ci è appena piovuto addosso come un meteorite dal cielo: DeepSeek.

Dalla Cina con furore, direbbe qualcuno: e subito OpenAI, Google e gli altri del Tech hanno preso schiaffi che neanche Bruce Lee. Sì perché non appena disponibile, la nuova intelligenza artificiale della balenottera cinese ha superato nientemeno che ChatGPT negli app store di tutto il mondo. Stati Uniti compresi.

Qual è stata, quindi, la reazione ai piani alti delle Big Tech a stelle e strisce? Un pochino si trema, un altro po’ si sbraita, ma per il resto si rimane a guardare. Perché?

È un fatto che DeepSeek sfrutti una AI “light”, per così dire, adoperando tecnologie meno costose e meno sviluppate – anche per via dei pesanti vincoli posti dagli Usa sull’esportazione di semiconduttori avanzati. Nonostante questo, però, il modello è comunque in grado di raggiungere ottimi risultati, proprio come le tecnologie più pesanti delle Big Tech. Ecco allora che, quando ci troviamo di fronte alla Cina e a una delle sue magiche trovate, la domanda rimane sempre la stessa: è una minaccia?

Quale che sia la risposta, ci tocca citare un altro film di Bruce Lee: L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente. E non poco, poi, dato che in Italia il Garante della Privacy ha bloccato DeepSeek – dopo aver inviato una richiesta di informazioni, specificando l’eventualità di un rischio per i dati degli utenti – mentre tra Washington e Bruxelles le istituzioni affiancano le Big Tech nella ricerca di un nuovo piano di manovra per far fronte a questo nuovo e – per ora – ingombrante compagno di viaggio. Perché se OpenAI e Google pensavano di spartirsi tutta la torta dell’AI, forse ora sono costretti a rifare i calcoli: DeepSeek magari non sarà il competitor principale o il loro più acerrimo rivale, ma è comunque un altro player del settore. Un nome con cui fare i conti, volenti o nolenti, che dalla Cina si presenta come un rischio per qualcuno, e come un’opportunità per qualcun altro. Il nuovo, il diverso che si inserisce nel percorso: qualcosa che gli dà ancora più valore, e che per qualcuno era ed è molto di più.

WALKABOUT


Lo diciamo subito: stavolta nessun filosofone. Niente accademie greche o università tedesche. No, questa settimana andiamo direttamente tra i popoli aborigeni dell’Australia; tra quelli che avevano una curiosa e bellissima abitudine: gli inglesi la chiamano ‘Walkabout’, girovagare, vagabondare. Ma la traduzione è riduttiva, se non addirittura fallace: il vagabondare degli aborigeni australiani era anche preghiera, era connessione verso la Terra e verso gli altri. Tutto assieme, percorrendo le vie tracciate dai loro antenati. Ne ha raccontato Bruce Chatwin, uno che definire ‘antropologo’ è grossolano, piuttosto un fine viaggiatore, a cui l’antropologia si è cucita addosso. Tornando a noi, il buon Chatwin, nel viaggio in Australia raccontato nel suo ‘Le Vie dei Canti’, scrive come l’uso della parola sia ciò che distingue l’essere umano. Anche gli altri animali migrano, ma nessuno lo fa con la stessa intensità e intenzionalità dell’uomo, che porta con sé la parola e i suoi significati in ogni suo spostamento. Scambi commerciali, verbali, emotivi: nel suo girovagare, l’essere umano, per sua natura ancestrale, parla, e parlando definisce sé stesso, gli altri e le cose che lo circondano. Per dirla in altro modo: parlando, l’uomo esiste nel mondo e il mondo esiste attorno a lui.

Esistere, quindi, significa avere similitudini con chi – come noi – viaggia, parla, e comprende ciò che diciamo. Scendere a patti con questo pensiero è naturale in certi casi, mentre in altri comporta un po’ più di fatica. Tipo con DeepSeek.

ESISTERE ECCOME


Siamo alle solite: se da una parte le aziende del Tech si preoccupano dei costi più bassi del nuovo competitor, dall’altra istituzioni e cittadini guardano alla propria privacy.

Siamo alle solite, dicevamo; ma in che senso “le solite”? Abbiamo già vissuto questi quesiti con protagonisti differenti? Di solito, quando si leggono domande del genere su Sunday View, la risposta è affermativa, quindi non sarà certo una sorpresa se ora mettiamo nello stesso paniere nomi come Temu e TikTok o ChatGPT e Gemini. Tutti e quattro questi soggetti hanno creato – e alcuni creano tuttora – dei grattacapi: competizione spietata sul mercato da una parte, e preoccupazione per la privacy dall’altra. Ma pensiamoci un attimo: Temu e Wish hanno fatto chiudere Amazon? No. WeChat ha messo da parte WhatsApp? Di nuovo, no. TikTok ha oscurato Instagram? Bé un po’ sì, ma questo è un discorso a parte.

Allo stesso modo, difficilmente DeepSeek farà fallire OpenAI e Google, nomi che, oltre a convivere nella stessa fetta di mercato, hanno condiviso anche accuse simili sull’utilizzo delle informazioni dell’internet per migliorarsi. Cosa è successo, poi? Abbiamo normalizzato l’utilizzo di questi strumenti, sono entrati nel nostro quotidiano, al pari di tutti i nomi citati prima.

E così come noi utenti traiamo vantaggio dall’utilizzo di ciò che prima ci appariva pieno di ombre, anche le Big Tech, con un competitor in più, possono favorire di un mercato in cui si aumenta l’efficienza della tecnologia, ergo la domanda, ergo l’offerta.

Ecco allora che l’incontro con l’altro, con il diverso, non è sempre e solo un momento di annientamento per noi, ma spesso di arricchimento e di crescita. Non è una massima da video motivazionale sui social, ma è ciò che possiamo ricavare dalla tradizione degli aborigeni australiani. Per loro, le parole sono un ponte verso ciò che abbiamo fuori da noi, un tramite verso il diverso, che trasforma ‘l’altro’ da minaccia a opportunità. Le parole sono anche quelle che noi diamo in pasto ai modelli di AI, sono quelle di cui questi modelli si nutrono, e di cui non sono mai sazi. Sono tutte quelle che sono state spese in risposta al clamore attorno a DeepSeek, e sono quelle che per gli aborigeni concretizzavano l’esistenza delle cose. E se è vero il mantra del marketing del “purché se ne parli”, allora l’IA cinese esiste eccome.

BONUS TRACK


Insomma, è venuto su un bel circo attorno a DeepSeek, così come è stato anche per i suoi “compaesani” di altri settori di mercato. Temu, TikTok e altri da Pechino... Ci torna utile un ultimo film di Bruce Lee: Il furore della Cina colpisce ancora.

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