La sfida
Trump e Harris verso il match tv decisivo tra volatilità politica e finanziaria
I pronostici sono per Kamala, ma con le famiglie americane stracariche di azioni potrebbero pesare a favore di The Donald anche nuove turbolenze di mercato a ridosso del voto. Crepe nel campo dei Rep
di Stefano Caratelli 9 Settembre 2024 08:11
Il “super Bowl” della politica tra Kamala Harris e Donald Trump che va in onda a Filadelfia nella notte americana di martedì 10 settembre sulla ABC potrebbe essere decisivo per la conquista della Casa Bianca alle elezioni del 5 novembre, confermando una tradizione iniziata nel lontano 1960, con il primo match televisivo americano che avrebbe spianato la strada a JFK contro Richard Nixon. La storia è proseguita nel 1980 con Reagan-Carter, poi con un Bush junior nel 2004 con cui molti americani avrebbero bevuto volentieri una birra contro un altezzoso John Kerry che pensava di essere entrato nella Camelot kennediana. I media si esercitano sempre nel dichiarare il vincitore, ma spesso sbagliano clamorosamente come quando assegnarono un 3-a-0 a Hillary Clinton, che nel 2016 portò a casa più voti di Trump ma non quelli che contano, vale a dire i Collegi Elettorali. Nel 2000 la presidenza fu vinta da W. Buh per una manciata di voti contati e ricontati in Florida con Al Gore che dovette arrendersi al verdetto della Corte Suprema del Sunshine State.
Quello fu l’unico risultato sbagliato degli ultimi 10 da Allan Lichtman, molto citato in questi giorni, che ha azzeccato gli altri 9, compreso quello del 2016, sulla base di un modellino a 13 parametri, di cui quest’anno 8 a favore di Harris e 3 di Trump, con i due relativi a successi e insuccessi in politica estera troppo incerti per essere assegnati. Questa volta per le previsioni dovrebbero essere disponibili anche i dati delle scommesse raccolte dai broker, proibite in USA, ma a cui ha aperto la porta una recente sentenza di una giudice di Washington come riportato dal WSJ. Oltre alle previsioni di Lichtman, i cui parametri includono anche la performance economica ma non quella dei mercati, ha a suo favore i media, i sondaggi soprattutto nazionali, il vantaggio che condivide con Trump di non essere dovuta passare per le Forche Caudine delle Primarie.
Un altro punto per la Harris, rivelato dal sito Politico e confermato dalla dichiarazione di voto dell’ex vicepresidente repubblicano Dick Cheney, è che diversi esponenti repubblicani farebbero il tifo per lei manovrando di conseguenza, sperando di liberarsi della ‘dittatura’ di Trump e riguadagnare il controllo del partito e poi del Congresso, alle elezioni di mid-term del 2026. Il confronto su ABC di martedì potrebbe essere addirittura determinante. Trump ha già vinto a giugno quello con Biden, che lo ha aiutato con una performance certamente non brillante, e potrebbe replicare perché la Harris ha praticamente zero successi da vantare personalmente nei quasi quattro anni di mandato Dem e resta una promessa tutta da mantenere. Ci sono due fattori da considerare: la Fed e l’andamento dei mercati nei prossimi due mesi.
I programmi di Trump e Harris hanno in comune un forte contenuto di spesa pubblica e di potenziale inflazionistico, fatto di ingenti investimenti green e per l’inclusione nel secondo caso e dalla combinazione di protezionismo e taglio alle tasse nel primo. Questo potrebbe rendere cauto Jay Powell nel percorso di taglio dei tassi che sta per intraprendere mentre la crescita di debito e deficit non può che spingere i compratori di Treasury a chiedere un premio più alto per detenerli. Il secondo fattore sono i mercati e Wall Street in particolare, a cui le famiglie americane sono in questo momento particolarmente esposte e quindi sensibili. Il WSJ ha riportato stime di JP Morgan secondo cui l’allocazione in azioni viaggia ai massimi di sempre, sopra i livelli della bolla delle dot.com.
Il track record sia di Trump che di Biden in termini di performance di Borsa è molto buono, ma nel suo ultimo anno di presidenza il primo ha inciampato in una risposta esitante e inadeguata allo shock da Covid, che probabilmente gli è costata la rielezione a novembre 2020, mentre il secondo ha saputo cavalcare il rimbalzo accompagnandolo con dosi massicce di spesa pubblica. Ora gli americani si preparano a votare carichi di azioni e con gli indici ai massimi, ma vulnerabili a episodi di volatilità violenta, come a inizio agosto e in parte anche all’avvio di settembre. Da qui a fine ottobre un ripetersi di queste turbolenze potrebbe riproporre alla rovescia lo scenario del 2020 avvantaggiando Trump, visto come un’àncora molto più sicura di Harris per quanto riguarda i mercati.
Bottom line. Tra le sorprese che l’ultimo scorcio della lunga campagna elettorale USA può riservare c’è anche la volatilità dei mercati, e potrebbe addirittura rivelarsi il fattore determinante. L’emotività spinge gli investitori meno navigati a vendere sui minimi quello che magari avevano comprato ai massimi. Se si somma all’alta incertezza sul voto degli Stati in bilico potrebbe far esplodere la “bolla” Harris. La miglior difesa contro la volatilità finanziaria e politica resta restare fedeli alle scelte di portafoglio di lungo termine e affidarsi alla bussola dei fondamentali, economici e societari.
LA PREVISIONE DI LICHTMAN E L’INCERTEZZA DEI SONDAGGI
Quello fu l’unico risultato sbagliato degli ultimi 10 da Allan Lichtman, molto citato in questi giorni, che ha azzeccato gli altri 9, compreso quello del 2016, sulla base di un modellino a 13 parametri, di cui quest’anno 8 a favore di Harris e 3 di Trump, con i due relativi a successi e insuccessi in politica estera troppo incerti per essere assegnati. Questa volta per le previsioni dovrebbero essere disponibili anche i dati delle scommesse raccolte dai broker, proibite in USA, ma a cui ha aperto la porta una recente sentenza di una giudice di Washington come riportato dal WSJ. Oltre alle previsioni di Lichtman, i cui parametri includono anche la performance economica ma non quella dei mercati, ha a suo favore i media, i sondaggi soprattutto nazionali, il vantaggio che condivide con Trump di non essere dovuta passare per le Forche Caudine delle Primarie.
ANCHE REPUBBLICANI TRA I TIFOSI DI HARRIS
Un altro punto per la Harris, rivelato dal sito Politico e confermato dalla dichiarazione di voto dell’ex vicepresidente repubblicano Dick Cheney, è che diversi esponenti repubblicani farebbero il tifo per lei manovrando di conseguenza, sperando di liberarsi della ‘dittatura’ di Trump e riguadagnare il controllo del partito e poi del Congresso, alle elezioni di mid-term del 2026. Il confronto su ABC di martedì potrebbe essere addirittura determinante. Trump ha già vinto a giugno quello con Biden, che lo ha aiutato con una performance certamente non brillante, e potrebbe replicare perché la Harris ha praticamente zero successi da vantare personalmente nei quasi quattro anni di mandato Dem e resta una promessa tutta da mantenere. Ci sono due fattori da considerare: la Fed e l’andamento dei mercati nei prossimi due mesi.
PROGRAMMI INFLAZIONISTICI COMPLICANO IL LAVORO DELLA FED
I programmi di Trump e Harris hanno in comune un forte contenuto di spesa pubblica e di potenziale inflazionistico, fatto di ingenti investimenti green e per l’inclusione nel secondo caso e dalla combinazione di protezionismo e taglio alle tasse nel primo. Questo potrebbe rendere cauto Jay Powell nel percorso di taglio dei tassi che sta per intraprendere mentre la crescita di debito e deficit non può che spingere i compratori di Treasury a chiedere un premio più alto per detenerli. Il secondo fattore sono i mercati e Wall Street in particolare, a cui le famiglie americane sono in questo momento particolarmente esposte e quindi sensibili. Il WSJ ha riportato stime di JP Morgan secondo cui l’allocazione in azioni viaggia ai massimi di sempre, sopra i livelli della bolla delle dot.com.
LA VOLATILITÀ DI MERCATO PUÒ CAPOVOLGERE LO SCENARIO
Il track record sia di Trump che di Biden in termini di performance di Borsa è molto buono, ma nel suo ultimo anno di presidenza il primo ha inciampato in una risposta esitante e inadeguata allo shock da Covid, che probabilmente gli è costata la rielezione a novembre 2020, mentre il secondo ha saputo cavalcare il rimbalzo accompagnandolo con dosi massicce di spesa pubblica. Ora gli americani si preparano a votare carichi di azioni e con gli indici ai massimi, ma vulnerabili a episodi di volatilità violenta, come a inizio agosto e in parte anche all’avvio di settembre. Da qui a fine ottobre un ripetersi di queste turbolenze potrebbe riproporre alla rovescia lo scenario del 2020 avvantaggiando Trump, visto come un’àncora molto più sicura di Harris per quanto riguarda i mercati.
Bottom line. Tra le sorprese che l’ultimo scorcio della lunga campagna elettorale USA può riservare c’è anche la volatilità dei mercati, e potrebbe addirittura rivelarsi il fattore determinante. L’emotività spinge gli investitori meno navigati a vendere sui minimi quello che magari avevano comprato ai massimi. Se si somma all’alta incertezza sul voto degli Stati in bilico potrebbe far esplodere la “bolla” Harris. La miglior difesa contro la volatilità finanziaria e politica resta restare fedeli alle scelte di portafoglio di lungo termine e affidarsi alla bussola dei fondamentali, economici e societari.
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