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Perché secondo Capital Group quest’anno i portafogli bilanciati possono ripartire

Dopo un 2022 deludente, Julie Dickson (Capital Group) indica tre fattori importanti in grado di migliorare i risultati del classico portafoglio bilanciato 60/40: picco dell’inflazione vicino, recessione breve e ritorno del reddito

di Leo Campagna 26 Marzo 2023 15:08
financialounge -  Capital Group Julie Dickson mercati

Il 2022 è stato un anno complicato per i portafogli 60/40. L’approccio di investimento bilanciato tradizionale per il 60% in azioni e per il 40% in obbligazioni, è infatti stato messo in discussione. I mercati azionari globali hanno registrato pesanti flessioni durante l’ultimo anno mentre le obbligazioni non sono riuscite a svolgere la loro tradizionale funzione di cuscinetto di protezione. Il brusco e significativo rialzo dei tassi da parte delle banche centrali ha provocato un forte rialzo dei rendimenti obbligazionari mentre i prezzi, che si muovono in direzione opposta ai rendimenti, sono caduti in modo significativo.

L’IMPATTO CHIAVE DELL’INFLAZIONE ELEVATA


“Un impatto chiave è dovuto all’inflazione elevata che, di solito, comporta una maggiore correlazione azioni/obbligazioni” fa sapere Julie Dickson, Investment Director per l’azionario di Capital Group. Infatti l’aumento dei prezzi al consumo alimenta l’incertezza nelle aspettative inflazionistiche che, a cascata, determinano premi obbligazionari superiori e dunque prezzi dei bond inferiori. In parallelo, la combinazione di inflazione elevata e rendimenti obbligazionari più alti implica un fattore di sconto maggiore per l’azionario, che innesca una flessione dei prezzi delle azioni.

I PORTAFOGLI 60/40


Resta il fatto che gli investitori con un profilo di rischio più prudente continuano a cercare soluzioni di investimento in grado di bilanciare la crescita del capitale a lungo termine, la conservazione della quota investita e il reddito corrente. “Riteniamo che i portafogli 60/40 offrano questa opzione alla luce del fatto che esistono tre fattori importanti in grado di migliorare i risultati nel 2023 e oltre: picco dell’inflazione vicino, recessione breve e ritorno del reddito”” riferisce Dickson.

IL PICCO DELL’INFLAZIONE SEMBRA PROSSIMO


Se i recenti cali dei prezzi al consumo fossero confermati nei prossimi mesi, la Federal Reserve (Fed) potrebbe ridimensionare il ritmo della sua politica di rialzo dei tassi. Uno scenario favorevole alle obbligazioni di qualità elevata capaci di offrire una relativa stabilità e un reddito più consistente. Il calo dell’inflazione potrebbe inoltre favorire le azioni perché un costo del capitale inferiore potrebbe far migliorare i margini di profitto, i ricavi e dunque la crescita degli utili. Una dinamica che potrebbe riportare ai livelli normali il tradizionale rapporto tra l’azionario e l’obbligazionario globale.

LE RECESSIONI SONO DOLOROSE MA NON DURANO A LUNGO


Per quanto riguarda invece le recessioni, occorre ricordare che sono necessarie per ripulire gli eccessi dei periodi di crescita precedenti. Sono dolorose ma la buona notizia è che, storicamente, non durano a lungo. “Dalla nostra analisi” riferisce la manager di Capital Group “di 11 cicli statunitensi dal 1950 emerge che le recessioni hanno avuto una durata compresa tra due e 18 mesi, con una media di 10 mesi”.

IL RITORNO DEL REDDITO


Dickson  ricorda poi come il sensibile rialzo dei rendimenti obbligazionari abbia riacceso l’interesse verso questa asset class dopo anni di rendimenti prossimi allo zero (se non, addirittura, negativi). “In ottica storica, gli attuali rendimenti nel reddito fisso consentono di aspettarsi in generale ritorni più elevati per i prossimi anni. Questo potrebbe fornire un cuscinetto più consistente per i rendimenti complessivi, anche nell’eventualità in cui i prezzi rimangano volatili”, spiega la manager.

FOCUS SUI DIVIDENDI AZIONARI


La quale, sempre in tema di reddito guarda con interesse anche ai dividendi azionari come componente della performance azionaria complessiva. E’ vero che negli anni 2010 i dividendi rappresentavano un misero 16% del rendimento totale dell’indice S&P 500, ma storicamente hanno contribuito in media per il 38% e addirittura per il 70%  durante il periodo dell’inflazione degli anni Settanta. “E’ inoltre possibile individuare le aziende capaci di adattarsi con successo alla nuova realtà di tassi di interesse più alti, minore disponibilità di capitale, adattamento delle supply chain e costo del lavoro maggiore”, conclude l’Investment Director per l’azionario di Capital Group.
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