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Cosa aspettarsi

La fine della 'vecchia' globalizzazione non è un ritorno al passato

Dalla Brexit e dall’elezione di Trump nel 2016 la globalizzazione ‘low cost’ di Clinton ha cambiato traiettoria con le accelerazioni della pandemia e della guerra in Ucraina. Ai mercati piace ma anche i rischi sono nuovi

di Stefano Caratelli 19 Aprile 2022 08:19
financialounge -

La globalizzazione come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 30 anni non c’è più. Ma non vuol dire per forza che i protagonisti dell’economia mondiale – USA, Cina, Europa – torneranno a chiudersi in fortezze protezionistiche e autarchiche come negli anni 30 del secolo scorso, con il catastrofico risultato finale che tutti sanno. E allora come sarà la globalizzazione 2.0? Pandemia e guerra in Ucraina hanno fornito probabilmente un assaggio più sostanzioso delle guerre dei dazi di Trump nei confronti di cinesi, europei e perfino i partner del Nafta nord americano.

QUANDO IL PIL DELL’URSS INSEGUIVA GLI USA


Ai tempi della guerra fredda, gli USA come oggi erano il contributore numero uno al PIL globale con 4.400 miliardi di dollari, seguiti da URSS con circa la metà, Giappone e Germania Ovest, mentre la Cina viaggiava all’ottavo posto con poco più di 700 miliardi, dietro a Italia e Brasile. La caduta del muro di Berlino e il collasso sovietico cancellavano Mosca dalla classifica, il suo posto veniva preso dal Giappone e la Cina scalava un paio di posizioni. Poi la globalizzazione alla Clinton la proietta al secondo posto a partire dal 2010.

IL NUOVO ORDINE GEOPOLITICO


Globalizzazione e nuovo ordine geopolitico sono andati a braccetto, con i due protagonisti che insieme oggi fanno il 40% della ricchezza prodotta ogni anno dal pianeta e la superpotenza antagonista di una volta che arriva a malapena al 2%, come mostra la tabella. Messi insieme i paesi dell’Eurozona sono poco sopra il 15%.


Pil globale 2021 per paese % in dollari Usa (Fonte: Fondo Monetario Internazionale)

DEVIAZIONE INIZIATA NEL 2016


La traiettoria della globalizzazione di Clinton ha cominciato a deviare nel 2016 con la Brexit e l’arrivo di Trump alla Casa Bianca, con due potenti accelerazioni nel 2020, quando la pandemia ha fermato da un giorno all’altro economie e scambi, e nel 2022 con la guerra in Ucraina. Che ha anche proposto una nuova ‘mappatura’ degli scambi globali. La Harward Business Review ha calcolato che messi insieme i paesi che all’ONU il 2 marzo non hanno votato contro la Russia per la sua aggressione fanno il quasi il 40% del commercio globale, e solo il 5% è all’interno di questo blocco che oltre alla Russia stessa comprende Cina, India e altri 32 paesi.

LA CINA HA ESTERNALIZZATO IL COSTO DEL COVID


Anche la pandemia ha causato una spaccatura profonda tra la Cina, che con la sua politica zero-Covid adottata immediatamente a inizio 2020 e tornata duramente in vigore oggi con 400 milioni di persone in quarantena forzata, ha praticamente trasferito al resto del mondo il costo economico della pandemia, con le strozzature alle catene di approvvigionamento globali riuscendo a mantenere il segno più davanti al PIL e continuando l’allentamento monetario mentre tutte le altre aree sono state costrette a stringere, prima i paesi emergenti e poi quelli sviluppati.

I FLUSSI DI CAPITALE


La globalizzazione è fatta di flussi: di persone, di dati e informazioni, e di capitali. Questi ultimi sono di due tipi, gli investimenti esteri fissi e quelli di portafoglio. I secondi si possono montare e smontare molto rapidamente, ovviamente a un costo che può essere elevato, i primi molto meno, e sono un indicatore più affidabile della fiducia tra partner che magari appartengono a aree diverse della mappatura tracciata dalla crisi ucraina.

IMPORTANZA DEGLI INVESTIMENTI


La globalizzazione di Clinton si affidava soprattutto agli investimenti di portafoglio e ai flussi commerciali. Gli investimenti fissi hanno tenuto bene all’impatto della pandemia tornando ai livelli precedenti già nel 2021 con prospettive di crescita nel 2022, anche se sono rimasti deboli nel manifatturiero. La guerra in Ucraina ha causato il ritiro dalla Russia di oltre 400 aziende estere, ma nessun disinvestimento di asset. Oltretutto la Russia rappresenta solo l’1% degli investimenti esteri fissi globali.

BOTTOM LINE


La fase 2 della globalizzazione iniziata 6 anni fa, che intreccia sempre più strettamente la geopolitica con l’economia e la finanza, ai mercati azionari non dispiace visto che l’MSCI World Index ha più che raddoppiato il suo valore resistendo a shock potenzialmente devastanti, dalla Brexit alla guerra dei dazi, dalla pandemia alla guerra in Ucraina. Una globalizzazione meno al ribasso e meno basata su prezzi e salari scontati con una interdipendenza tra paesi e aree meno assoluta dà agli investitori più punti di riferimento per il futuro, a condizione che i movimenti tettonici geopolitici non diventino troppo violenti.
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