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Dossier afgano

Nella crisi dell’Afghanistan occhio alle mosse di Russia e Cina

La ritirata americana, dopo 20 anni costosissimi, riapre i giochi su uno scacchiere importante, e le mosse dei grandi coinvolti, Russia e Cina, vanno seguite da vicino

di Stefano Caratelli 16 Agosto 2021 09:26
financialounge -  Afghanistan America cina crisi india Morning News Russia

La settimana post-ferragostana può essere una buona occasione per riprendere in mano un libro di una trentina d’anni fa, che racconta il confronto ottocentesco tra le potenze imperiali di Russia e Gran Bretagna nello scacchiere dell’Asia centrale. Molti sicuramente hanno letto o sentito parlare del Grande Gioco, dell’americano Peter Hopkirk, pubblicato nel 1992, tre anni dopo fine della catastrofica occupazione dell’Afghanistan da parte dei sovietici del 1979. Il termine fu coniato dal grande Kipling nel 1901 nella novella ‘Kim’, l’indo-irlandese Kim O’Hara, un povero tra i poveri nell’India allora colonia inglese, che trafficava pericolosamente con l’intelligence di Sua Maestà. Ora la storia sembra in parte ripetersi, con l’abbandono di Kabul da parte degli americani dopo 20 costosissimi anni, sia in termini di migliaia di miliardi di dollari spesi che di vite umane lasciate sul terreno. La posta del Grande Gioco tra russi e inglesi, che durò oltre 70 anni tra il 1830 e l’inizio del 900, era il controllo delle vie commerciali e in ultima analisi dell’India.

LA SVOLTA USA DOPO 16 ANNI DI INTERVENTISMO


Dopo 16 anni molto interventisti di Bush figlio e Obama, segnati dalle guerre post 11 settembre nel primo caso e dalle micce disseminate per tutto il Medio Oriente e il Mediterraneo con le Primavere Arabe nel secondo, da Trump e poi forse ancor più con Biden gli americani sembrano aver abbracciato una linea non interventista come negli anni 30 del secolo scorso, che furono costretti ad abbandonare dopo Pearl Harbour. Il confronto con la Cina è più economico-tecnologico che politico militare, mentre le aree di crisi che non mancano in giro per il mondo, dall’Iran a Siria e Turchia, dal Venezuela a Cuba, fino alla Corea del Nord, sembra vengano lasciate a cuocere ‘nel loro brodo’. Grazie all’autosufficienza energetica il petrolio non è un problema, come neanche i confini, sorvegliati dai due gendarmi oceanici, a parte il Messico, con cui però alla fine basta mettersi d’accordo perché metta un tappo al collo di bottiglia dell’America centrale.

I RUSSI SI PRENDONO LA SCENA


Il Grande Gioco sembrerebbe una partita tra cinesi e russi (ancora loro, nonostante siano passati per la rivoluzione bolscevica e il collasso dell’impero) e le medie potenze asiatiche. La posta è sempre la via degli scambi con l’Occidente, e alla fine l’India, principale concorrente economico della superpotenza cinese in Asia, sempre più ‘circondata’ da stati e movimenti di ispirazione islamica, dal Pakistan al Bangladesh passando per Nepal e Kashmir, ma anche alleato storico privilegiato di Mosca. Al vertice della Troika Plus composta da Russia, Cina, Pakistan e USA che si è tenuto a Doha, in Qatar, l’11 agosto scorso, convocato guarda caso da Mosca e dedicato proprio all’Afghanistan, l’India non è stata nemmeno invitata. A parole, sia i russi, che hanno invitato i talebani a Mosca, sia i cinesi, che li hanno già accolti con tutti gli onori a Pechino, sono tutti contro una soluzione affidata alle armi, anche se una dopo l’altra le principali città afgane cadono nelle mani dei talebani, che sono già entrati a Kabul.

DISINTERESSE DI MERCATI E INVESTITORI


Per ora le vicende afgane non sono citate nemmeno di striscio nelle news di finanza e nei report di mercato. Tutto sommato i talebani vogliono ‘solo’ l’Afghanistan e non puntano a sottomettere l’Occidente, come nei piani dell’Isis, che ha spaventato molto con il tentativo di creazione dello stato islamico Daesh tra Siria e Iraq, ma è durata poco, dal 2014 al 2019. In passato i talebani sono stati dei ‘pedoni’ sacrificabili sulla scacchiera delle grandi potenze. Gli americani li foraggiarono in funzione anti-URSS dopo l’invasione del 1979 per farli diventare il nemico numero uno dopo le Torri Gemelle. Ora cinesi e russi gli strizzano l’occhio, senza dimenticare che hanno in casa qualcosa di simile, come gli Uiguri nello Xinjiang e i ribelli sunniti in Cecenia. Ma alle due potenze, soprattutto la Cina, l’espansione territoriale interessa poco, e entrambe non hanno nessun interesse all’esplosione delle tante polveriere che le circondano a Sud, dall’Iran alla Siria, fino potenzialmente alla Turchia, cui si sta aggiungendo l’Afghanistan.

EUROPA SENZA SCUDO AMERICANO


A russi e cinesi alla fine interessa poco chi comandi in tutti questi turbolenti paesi, purché garantisca corridoi sicuri per gli scambi e per le grandi infrastrutture energetiche e di comunicazione, oggi oleodotti e gasdotti, domani forse anche grandi elettrodotti. Per l’Europa è tutto più complicato. Il ‘fronte caldo’ comprende anche buona parte della sponda Sud del Mediterraneo, mentre la ritirata dall’Afghanistan segnala che si può fare sempre meno affidamento sullo scudo della protezione militare americana. L’Europa non ha un meccanismo comune di difesa, a livello di singoli paesi solo forse la Francia dispone di un potenziale di deterrenza militare significativo, mentre la Gran Bretagna è indubbiamente attrezzata, ma ormai è fuori. Forse il nuovo quadro che vede gli USA in ritirata potrebbe favorire un riavvicinamento tra Londra e Bruxelles su un terreno non economico-commerciale. Bottom line. Per ora l’Afghanistan non è un tema di investimento, né in negativo né in positivo. Ma i rimescolamenti sulla scacchiera del Grande Gioco vanno seguiti con attenzione, per almeno tre motivi. Il primo è che la Cina è in qualche modo costretta a scoprire le sue carte su un terreno da cui si è finora tenuta lontana. Il secondo è che in tutte le partite che contano al tavolo c’è sempre la Russia. E il terzo si chiama India, col suo enorme potenziale di crescita, che suo malgrado si deve giocare anche una partita geopolitica.
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