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Geopolitica

La Cina alza la voce, ma non può sfidare i mercati: ecco perché

Xi si sente minacciato dalla nuova linea Biden-Ue, ma dimentica che la prosperità odierna la deve soprattutto a mercati e investitori, alla cui fiducia è appeso il futuro di superpotenza

di Stefano Caratelli 5 Luglio 2021 08:18
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Nel celebrare i 100 anni del Partito Comunista cinese il presidente Xi Jinping, abbigliato per l’occasione alla Mao, ha giustamente rivendicato l’uscita dalla povertà di centinaia di milioni di persone e la costruzione di una società "moderatamente prospera’" Ma ha anche pensato bene di avvertire il resto del mondo di non provare a "bullizzare" il grande paese perché rischia di sbattere la testa contro un muro d’acciaio forgiato da 1,4 miliardi di cinesi. Si è dimenticato però di ringraziare chi ha reso possibile il miracolo, vale a dire il mercato globale. Prima il mercato dei beni di consumo, che con le esportazioni ha gonfiato all’inverosimile l’avanzo di Pechino con il resto del mondo. E Poi i mercati finanziari, che hanno contribuito in modo decisivo all’afflusso di capitali che ha fatto crescere grandi imprese in tutti i campi, a cominciare dalla tecnologia, fino a metterle in grado di sfidare i colossi americani. Prima dell’ingresso nella WTO a dicembre 2001, l’economia cinese valeva poco più di 1.000 miliardi di dollari l’anno, per la precisione 1.211 miliardi nell’anno 2000, per più che decuplicare in meno di 20 anni a quasi 15.000 miliardi e arrivare a fare quasi il 13% del PIL globale.

AMERICA AVVANTAGGIATA DAL BOOM CINESE


Ad avvantaggiarsi della straordinaria crescita cinese sono stati più di tutti gli americani, che hanno aperto un mercato di sbocco enorme e trovato in Cina una sterminata fabbrica low cost per produrre le componenti dei prodotti high tech con cui inondano il mondo. Come Apple, che dà lavoro direttamente a 150.000 persone, ma ne impiega in Cina un altro quarto di milione, soprattutto nella linea produttiva dell’iPhone. E ora si sta passando dall’industria alla finanza, con le grandi case d’investimento del mondo sviluppato, soprattutto anche qui americane, che sbarcano in Cina per offrire prodotti e servizi di gestione del risparmio al popolo sempre più sterminato della nuova classe media. Il grande sconfitto dell’esplosione economica cinese sembra invece, in una prospettiva storica, soprattutto il Giappone, che si è visto rubare il posto di superpotenza economica asiatica, pagandone il prezzo in termini di crescita del PIL. Il grafico qui sotto visualizza bene il parallelismo tra crescita di USA e Cina e l’impatto sul Sol Levante.

[caption id="attachment_186198" align="alignnone" width="735"]Crescita di USA (verde), Cina (blu) e Giappone (giallo) a confronto secondo i dati della Banca Mondiale Crescita di USA (verde), Cina (blu) e Giappone (giallo) a confronto secondo i dati della Banca Mondiale[/caption]

BIDEN HA CAMBIATO LE CARTE IN TAVOLA


Ai giapponesi alla fine va bene così, in calo demografico e ostili all’immigrazione, possono godersi l’alto livello di benessere raggiunto e continuare a fare business sia con i cinesi che con gli americani. A questi ultimi invece va un po’ meno bene, Trump li ha fatti accorgere che il gigante fatto uscire dalla lampada nel 2001, da un Bush Junior scioccato dall’11 settembre e in cerca di puntelli globali per le sue guerre in Iraq e Afganistan, stava diventando una minaccia per la supremazia economica globale americana. Con The Donald, odiato dagli europei, Xi è andato a nozze, prendendo in mano la bandiera del libero scambio globale. Con Biden la storia è diversa, quello isolato è diventato lui, anche se il fronte USA-EU non è un monolite, perché agli europei un ritorno alla cara vecchia globalizzazione, con i cinesi che corrono a comprare le auto di lusso tedesche e l’alta moda italiana e francese, non dispiace certo, ma la sintonia ritrovata con gli USA vale forse di più.

SEGNALI DI NERVOSISMO SUI MERCATI


A Xi invece non piace, così alza la voce, sicuramente più per galvanizzare il fronte interno che per minacciare quello esterno, ma deve stare attento a quello che dice e soprattutto a quello che fa, perché la prima a farsi male potrebbe essere proprio la Cina. Le Borse di Shanghai e Hong Kong hanno accolto i toni aggressivi di Xi con un tonfo del 2%. I mercati sono stati i migliori sponsor del boom cinese, e far solo intravvedere che non ci si può fidare dell’apertura ai capitali internazionali può fare molti danni. Non solo alla Cina, ma anche all’America, i cui colossi hanno bisogno dell’immenso mercato per continuare a crescere. Sembra che in questo complicato puzzle geopolitico la vista più lunga l’abbiano i big di Wall Street insieme ad altri grandi nomi della finanza europea, che non vedono più la Cina come una grande fabbrica low cost ma come uno sbocco importantissimo per investimenti e raccolta di risparmio.

PIÙ BENESSERE IL MIGLIOR VACCINO


Xi Jinping ha giustamente richiamato il merito di aver portato dalla povertà alla prosperità, anche se ancora ‘moderata’, centinaia di milioni di cinesi, per cui la strada maestra è continuare a favorire l’attività economica, fatta sempre più di imprese private competitive, e alimentata dalla fiducia di mercati e investitori. Tra le mille iniziative per celebrare il centenario c’è stata anche una compilation di 100 rapper cinesi, non ammessa all’agenda ufficiale ma che ha impazzato su social e app, dove a un certo punto esplode un ritornello che più o meno dice: “abbiamo i soldi in banca, e i nostri fratelli sono super eccitati … la Cina si sta alzando”. Il benessere sempre più diffuso è il miglior vaccino contro l’isolamento internazionale, ed è un vaccino di cui hanno l’esclusiva investitori e mercati.

BOTTOM LINE


Biden ha alzato il livello del confronto con Pechino dalla guerra dei dazi di Trump al piano politico, e Xi reagisce alzando i toni, per ora solo della voce. Alla fine gli interessi in gioco sono così colossali che non ne può uscire un vincitore e un vinto, come nella Guerra Fredda, ma solo un assetto win-win. Ma il gioco è in mani umane, e può sfuggire di mano. Non al punto da riscrivere il finale, ma abbastanza per provocare qualche turbolenza. Che per l’investitore può rappresentare qualche ghiotta occasione d’ingresso.
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