Contatti

L'analisi

Schroders: il peso delle big tech è diventato un rischio per Wall Street

La storica casa londinese avverte che il crescente dominio dei FAMAG sta sollevando preoccupazioni sulla tenuta del mercato azionario americano, ormai molto dipendente dalla performance dei titoli tecnologici

di Virgilio Chelli 29 Settembre 2020 07:45
financialounge -  big tech FAMAG Morning News Schroders Sean Markowicz Wall Street

I FAMAG, vale a dire Facebook, Apple, Microsoft, Amazon e Google hanno trainato Wall Street fino alla correzione di settembre, avendo ampiamente beneficiato della crisi da virus, ma il loro crescente dominio sta sollevando preoccupazioni sulla composizione del mercato azionario Usa e sulla sostenibilità del rally. Con Apple prima azienda a essere valutata 2.000 miliardi di dollari, sempre più investitori guardano con attenzione all'impatto dei tecnologici sui rendimenti dell’S&P 500, che escludendo le Big Tech si cifrano in -2% da inizio anno, vale a dire che l’azionario Usa avrebbe avuto performance dell’8% più basse senza le FAMAG, o dell’11% se misurato al picco del 2 settembre.

PESO RECORD SULLO S&P 500


Lo sottolinea Sean Markowicz, Strategist, Research and Analytics di Schroders, rilevando che la corsa verso il segmento tech ha portato il peso delle FAMAG sullo S&P 500 al record del 25%, più del doppio rispetto a cinque anni fa. Ciò significa, secondo l’esperto di Schroders, che le performance delle FAMAG impatteranno molto sulle performance del mercato in generale: ipotizzando che perdano il 10% in aggregato, le restanti azioni dell’S&P 500 dovrebbero salire di almeno il 3,3% per mantenere il livello dell’indice. In pratica, un dominio senza precedenti per un singolo settore.

CONCENTRAZIONE SU UN SOLO SETTORE


I cinque maggiori componenti dell’S&P 500 oggi fanno tutti parte del settore tech. L’esperto di Schroders rileva che l’ultima volta che l’azionario Usa è stato così concentrato fu alla fine degli anni ’60, notando che la concentrazione non è inusuale, ma lo è il fatto che i cinque principali titoli siano dello stesso settore, una mancanza di diversificazione da non prendere alla leggera, perché qualsiasi cambiamento nel sentiment sul tech può avere un impatto spropositato sull’intero mercato.

NON PARAGONABILE ALLA BOLLA DOT.COM


Secondo l’analisi di Schroders, tuttavia, il paragone tra la bolla delle dot.com e la situazione attuale è troppo semplificato, perché allora molte società di Internet non generavano profitti o flussi di cassa, mentre i giganti del tech di oggi sono molto redditizi, contando per il 15% degli utili attesi sull’S&P 500 a 12 mesi e per il 20% di quelli previsti al 2023. Visto che rappresentano il 23% degli utili futuri di tutto il mercato, le loro valutazioni non sembrano poi così estreme. Ma sui big tech incombono anche le minacce di azioni normative dirette a limitarne il dominio sui mercati, con l’accusa di abusarne.

I RISCHI PER GLI INVESTITORI


Secondo l’esperto di Schroders quindi, gli investitori dovrebbero monitorare possibili azioni del Congresso contro i giganti del tech, perché potrebbero impattare sui ritorni dell’intero mercato USA, visto il loro peso sugli indici: più un portafoglio riflette la composizione del benchmark, maggiori sono i rischi, con le strategie passive più esposte. Con le Big Tech sempre più influenti, per il peso sull’indice, la performance azionaria, la generazione di utili e il denaro speso in lobbying, secondo Schroders gli investitori dovrebbero quanto meno essere consapevoli dei rischi che si stanno assumendo, e chiedersi se stanno ottenendo un ritorno equo.
Share:
Trending