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Se il mondo continua a farsi salvare dalle banche centrali

Le banche centrali dovrebbero governare solo la moneta, ma sono al posto di guida anche per tutto il resto. Il ritorno della Greenspan Put ora nelle mani di Powell dà respiro ai mercati e alle economie globali in rallentamento.

4 Febbraio 2019 08:02
financialounge -  banche centrali emergenti Mario Draghi politica monetaria Weekly Bulletin https://www.flickr.com/photos/federalreserve/31999006877/

Allora, Jay Powell ha salvato il mondo? Ha ripescato dal magazzino degli attrezzi della Fed la Greenspan Put ora ribattezzata col suo nome e ha spostato nel giro di un mese il piede dal freno all’acceleratore per evitare che l’economia americana perdesse velocità troppo rapidamente e che quella del resto del mondo finisse in recessione. Questa almeno è la versione abbastanza condivisa da una schiera vasta di esperti e commentatori un po’ dappertutto. La prossima notizia sarà Powell Presidente degli Stati Uniti? Se lo chiede ironicamente ma neanche troppo Aleksandar Adamovic su Askbrokers.com. È un fatto che a ormai quasi una dozzina d’anni dalla crisi (le statistiche ufficiali collocano l’inizio della grande recessione a dicembre del 2007) le banche centrali siano ancora saldamente insediate nel posto del guidatore di economie e mercati globali, con la politica sul sedile posteriore. Neanche l’America di Trump tutto sommato fa eccezione. È vero che ha dato una spinta notevole un anno fa con la riforma fiscale e continua a stimolare la crescita con lo smantellamento di impianti regolatori soffocanti, ma è anche vero che il grande piano di ricostruzione delle infrastrutture è rimasto nel dimenticatoio e che la guerra dei dazi finora non ha prodotto la rinascita sperata dell’industria manifatturiera americana.

IL DOGMA DELLA DISCIPLINA FISCALE NON HA PAGATO


Non parliamo dell’Europa, dove la paralisi politica è totale e tale resterà almeno fino a dopo l’estate del 2019, quando si rimetterà mano alla governance dell’Unione dopo le elezioni di fine maggio. In Europa purtroppo la politica non si è limitata ad essere assente, ci ha messo del suo nel peggiorare le cose. A cominciare dalla gestione della crisi del debito della Grecia del 2010-2011, che si poteva risolvere al costo di qualche decina di miliardi e che invece è stata trasformata in uno tsunami che ha rischiato di travolgere l’euro e lo stesso edificio dell’Unione. La miopia dell’applicazione rigida e dogmatica della dottrina tedesca della disciplina fiscale sta mostrando ora tutti i suoi limiti e i suoi effetti negativi proprio in Germania, dove una crescita basata solo sulle esportazioni e non sui consumi interni si è inceppata con effetti di contagio sulle economie più dipendenti dalla locomotiva tedesca, a cominciare dall’Italia. La politica europea ha anche combinato quel colossale pasticcio che va sotto il nome di Brexit che probabilmente alla fine provocherà più danni al continente che sull’altra sponda del Canale.

La Germania che rallenta è un incentivo alla Brexit?


La Germania che rallenta è un incentivo alla Brexit?





L’UNICO CHE HA LE IDEE CHIARE IN EUROPA


L’unico che sembra avere le idee chiare in un vecchio continente attorcigliato sulle sue contraddizioni incapace di andare avanti sul percorso dell’Unione sembra essere il capo della Bce Mario Draghi. Se miracolosamente a novembre venisse chiamato a scambiare la poltrona di presidente della Banca Centrale con quella di presidente della Commissione Europea, il programma di governo ce l’ha già pronto in tasca. Primo punto, completamento dell’unione bancaria, con meccanismo comune di tutela dei depositi e condivisione del rischio, che renderebbe anche possibile grandi aggregazioni nel credito per avere dei campioni di livello americano. Secondo punto fiscalità europea, da affiancare a quella nazionale, che getterebbe le basi per l’emissione di debito comunitario a fronte di un gettito fiscale comune. Terzo punto creazione di un mercato del lavoro europeo, con un sistema di welfare e ammortizzatori armonizzato e non spezzettato a livello nazionale. Per ora resta un sogno di metà inverno.

UN AIUTO AGLI EMERGENTI SULLA STRADA DEL RECUPERO


Il resto del mondo, a cominciare dall’area sterminata delle economie emergenti, sembra destinato a beneficiare più degli stessi Stati Uniti della svolta di Powell, che ha messo in pausa la traiettoria al rialzo dei tassi. La mossa infatti è arrivata proprio mentre molte economie stanno uscendo dal tunnel imboccato nel 2018, che ora saranno sicuramente aiutate nel percorso delle ripresa da tassi americani stabilizzati e dalla prospettiva di un dollaro relativamente meno forte. Dall’India, al Sud Est asiatico, al Brasile e al Messico, fino al Sud Africa, le condizioni monetarie, valutarie e del credito sono molto più distese che non sei mesi fa. E se al tutto dovesse aggiungersi la miscela di uno stimolo cinese sostenibile e di un accordo commerciale Pechino-Washington, le economie emergenti potranno persino diventare l’àncora a cui agganciare prima un rallentamento sostenibile e poi una ripresa diffusa a tutto il pianeta. Alla fine anche la crisi del Venezuela sembra arrivare al momento giusto, con sullo sfondo un sub continente sudamericano in uscita dallo statalismo.

La stella polare monetaria torna a guidare economie e mercati


La stella polare monetaria torna a guidare economie e mercati





BOTTOM LINE


Un mondo governato da banchieri centrali sarebbe una specie di Repubblica platonica guidata dai Filosofi, poco immaginabile e forse anche poco auspicabile. Contentiamoci della ‘Powell Put’ e della ‘Draghi Put’, che purtroppo ha consumato molte più munizioni di quella americana e ha anche minori margini di manovra. La politica resta un ingrediente essenziale per società libere e democratiche. Solo che la distanza tra la complessità dell’organismo economico che deve essere governato e le capacità di chi è chiamato a farlo continua ad allargarsi inesorabilmente.

Attese & Mercati – Settimana dal 4 febbraio 2019


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