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Sicurezza ma anche rendimento nel T-bond USA a 2 e 3 anni

In attesa che i mercati globali, su cui pendono molti punti interrogativi, prendano una direzione precisa, le scadenze più brevi del debito americano offrono un mix interessante di rendimento e riparo dal rischio.

10 Ottobre 2018 07:50

Sono almeno un paio d’anni che la lettura dei mercati finanziari globali nel breve-medio periodo è così difficile da decifrare. L’anno che sicuramente sarà archiviato come quello dell’America, sia per la performance economica eccezionale sia per i risultati estremamente brillanti che le azioni quotate a Wall Street continuano a infilare trimestre dopo trimestre, sta avanzando nel suo ultimo trimestre sotto una fitta coltre di punti interrogativi.

I primi riguardano proprio gli Stati Uniti: quanto è sostenibile un’economia che viaggia al 4% con il resto del mondo in rallentamento? Lo stellone fortunato di Donald Trump continuerà a brillare anche dopo le elezioni di mid-term di inizio novembre? La Fed sta correndo troppo, o troppo poco, nella sua marcia verso la normalizzazione monetaria, con inflazione e salari che rialzano la testa? Gli altri punti di domanda appesi sulla testa del resto del pianeta sono ancora più grandi. La crisi di alcuni emergenti, come Turchia, Argentina, ma anche Sud Africa, per non parlare del Venezuela, non è stata contagiosa. Ma è abbastanza per suonare lo scampato pericolo? E poi c’è un’Europa passata dal ruolo di locomotiva a quello di vagone di mezzo del convoglio globale, con le turbolenze italiane che non accennano a diminuire e le elezioni del Parlamento che fino a maggio terranno con il fiato sospeso. Infine c’è un Giappone che recita la parte della stabilità e della sicurezza, con una Borsa che ha più strada da fare davanti di quella americana.

ALMENO UNA QUOTA DI LIQUIDITÀ PARCHEGGIATA AL SICURO


In questo quadro è comprensibile che l’investitore globale possa sentire la necessità di parcheggiare al sicuro almeno una quota di liquidità, in attesa di avere una visione più chiara. Fino a non molto tempo fa questa scelta implicava la rinuncia a una componente importante dell’investimento, vale a dire il rendimento. Mettersi al riparo dal rischio aveva un prezzo, quello di rinunciare a un ritorno magari modesto ma ragionevole. Un paio d’anni fa di questi tempi il T-Bond americano a 10 anni rendeva poco meno dell’1,4% mentre sulle scadenze più brevi a 2 e 3 anni non si riusciva a portare a casa nemmeno l’1% ma qualcosa tra lo 0,8% e lo 0,9%. Oggi il decennale rende circa il 3,2% mentre i titoli a 2 e 3 anni flirtano con quota 3% o un soffio sotto. Decisamente un altro mondo. Assenza di rischio e rendimento decente sembrano poter andare ‘together well’ come Michelle nella canzone dei Beatles del 1965. La distanza tra le scadenze lunghe e più brevi è diventata minima, grazie al fenomeno della curva dei tassi appiattita, ma un posizionamento sulla parte breve sembra consigliabile. Il perché sta nella correlazione più stretta che c’è con il percorso della Fed. Il consenso del mercato è per un altro rialzo di ¼ di punto quest’anno e altri due, max tre, il prossimo. Questo vuol dire Fed Funds al 3% o poco sotto per metà 2019. La parte breve della curva si muove come se la Fed avesse già raggiunto il suo obiettivo, quindi l’attuale livello di rendimento e prezzo può considerarsi relativamente stabile nel breve periodo, mentre la parte lunga è più esposta a turbolenze. Strappi al rialzo dei tassi a 10 anni causerebbero una caduta dei prezzi, non esattamente il massimo per chi cerca un parcheggio sicuro per qualche mese.

Perché il rialzo dei tassi dei T-bond USA non deve spaventare


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LA FORZA DELL’AMERICA SI RISPECCHIA NEL DOLLARO


E poi c’è il fattore America. Qualche giorno fa Ruchir Sharma, capo dei mercati emergenti e chief global strategist di Morgan Stanley Investment Management, ha dichiarato senza esitazioni a CNBC che gli investitori globali stanno scommettendo sul successo economico americano ora più che mai: "la storia di quest’anno è la storia di quanto stia facendo bene l’America, una storia eccezionale e i mercati non ci hanno mai creduto tanto”. America non vuol dire solo Wall Street, vuol dire anche biglietto verde. Un’economia che scoppia di salute, una banca centrale che va avanti ad alzare i tassi un quarto di punto a trimestre e aziende quotate che aumentano gli utili trimestrali regolarmente oltre il 20% non possono che voler dire una moneta forte. E per il nostro investitore in cerca di parcheggio, al vantaggio di un rendimento interessante potrebbe aggiungersi quello di una rivalutazione della moneta. L’unico ostacolo sulla strada del dollaro è un euro che potrebbe rialzare la testa man mano che si avvicina l’inizio del percorso di aumento dei tassi in Europa, comunque dopo l’estate del 2019. Inflazione, confusione politica e rallentamento economico per ora non segnalano svolte né brusche né imminenti.

Titoli di stato USA, la corsa al rialzo dei rendimenti non si è esaurita


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UN’ALTERNATIVA ALL’OMBRA DEI CILIEGI


Infine c’è il Sol Levante. Qui non ci sono i fuochi d’artificio americani, ma c’è la stabilità. La Borsa di Tokyo è quella rimasta più indietro a livello globale nel decennio post-crisi, l’economia non corre ma sembra abbia ormai aver trovato un passo stabile e lento di crescita, lo yen è una moneta stabile e la seconda opzione dopo dollaro e T-bond quando si cerca riparo dalle turbolenze. Rispetto al T-bond a 2 anni il Giappone sembra un parcheggio un po’ meno sicuro, ma con delle possibilità di upside sull’azionario interessante.

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