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Restaurant America messa a dieta

10 Ottobre 2016 00:01
financialounge -  Cosi Logan's Roadhouse Restaurants Acquisitions ristorazione USA

Fallimenti senza sosta delle catene di ristoranti USA, un'industria che rappresenta il 4% del PIL. Recessione in arrivo o modello di business vecchio?


L’industria della ristorazione americana è molto diversa da quella europea, soprattutto nella grande pancia tra le due coste: vale il 4% del reddito nazionale e per questo può essere considerata uno degli indicatori importanti per capire dove sta andando l’economia, e soprattutto i consumi, nel grande paese. E ora è un indicatore che punta a Sud.


Da dicembre 2015 infatti sono ben otto le corporation del settore, per un totale di 12 catene di ristoranti nazionali, ad essere ricorse al chapter 11, vale a dire la procedura fallimentare americana.


L’ultima della lista si è aggiunta il 30 settembre scorso: Restaurants Acquisitions, che gestisce le catene Black-eyed Pea e Dixie House. Solo il giorno prima era stata la volta di Cosi Inc., quotata al NASDAQ, una catena cosiddetta fast-casual con 1.100 dipendenti, che ha annunciato la chiusura di 29 ristoranti su 74 e il licenziamento di 450 persone. Qualche giorno prima Logan's Roadhouse, una steakhouse con oltre 200 ristoranti, aveva annunciato il ricorso al Chapter 11 e la contemporanea chiusura di oltre 10 location.


La lista dei fallimenti comprende anche Fox & Hound, Champps, Bailey's, Old Country Buffet, HomeTown Buffet, Ryan's, Johnny Carino's, Quaker Steak & Lube, e Zio's Italian Kitchen.


La ristorazione è un’attività difficile e volatile, ma questa volta l’ondata di fallimenti è considerata anomala dagli esperti, che la paragonano a un’ondata simile arrivata tra il 2009 e il 2010, quanto i morsi della Grande Recessione si facevano sentire sulla spesa discrezionale dei consumatori, come appunto i ristoranti.


Questa volta le cause sono meno chiare. Sta di fatto che a inizio anno Standard & Poor's ha pensato bene di inserire i bond delle corporation della ristorazione nella lista Distress Ratio (l'elenco dei settori caratterizzati da problematiche significative per ristrutturazione e rallentamento dell’attività), insieme a Energy, Metalli, Minerari e Acciaio. C’è chi non getta la spugna e ristruttura, taglia i costi e riduce il numero di location. Come l’operatore di casual-dining Ruby Tuesday, anche questo quotato sul NYSE, che ha annunciato la messa in vendita degli edifici che ospitano la direzione e la chiusura del 15% dei suoi 624 ristoranti.


Il fenomeno preoccupa molto. Nell’industria della ristorazione lavorano 14 milioni di persone con un fatturato di $710 miliardi l’anno, pari appunto al 4% del PIL. Ma la crisi dei ristoranti segnala recessione in arrivo, o è piuttosto il modello di business basato sulle catene che è diventato vecchio e non funziona più? Il dibattito è aperto.


Le catene, come nel settore alberghiero, sono un’invenzione degli anni Settanta. Nascono con l’obiettivo di fornire al cliente, che si sposta in auto da un lato all’altro dell’America, un punto di riferimento certo in termini di tipo e qualità dell’offerta. Se cerco un ristorante italiano non ho bisogno di chiedere al benzinaio un consiglio perché so già che da Bravo Cucina, ad esempio, trovo quello che cerco.


Ma con internet che ha cambiato il mondo forse anche per la ristorazione sta arrivando lo stesso tsunami che ha colpito gli alberghi con l’arrivo di AirBnb o i tassisti con Uber. Per trovare a colpo sicuro quello che cerco basta una buona app, e così un brand riconoscibile a Milwaukee come a San Diego, finisce con l’avere molta più concorrenza e difficoltà a imporsi sul mercato.

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