Smart working, come lavorare in modo efficiente e sostenibile

L’ultimo caso, in ordine di tempo, è quello della Barilla. Il colosso agroalimentare di Parma ha annunciato che entro il 2020 estenderà a tutti i dipendenti il cosiddetto smart working dopo averne sperimentato l’efficacia: dal 2013 su 1.600 dipendenti coinvolti, 1.200 (pari al 74% del totale) hanno aderito al progetto. Certo sono esclusi i lavoratori della catena di produzione e alcune funzioni la cui attività è strettamente legata alla presenza negli stabilimenti del gruppo ma resta il fatto che la stragrande maggioranza dei dipendenti potrà usufruire del lavoro agile e flessibile.

Ma cos’è lo smart working? E perché può essere definita la nuova frontiera del lavoro efficiente e sostenibile? Lo smart working si può sintetizzare nel lavorare dovunque, comunque e in qualunque momento facendo leva su una riorganizzazione del lavoro capace di sfruttare le nuove tecnologie con l’obiettivo di superare i limiti fisici e temporali. I fattori chiave dello smart working sono il telelavoro, i dispositivi tecnologici personali dei lavoratori e i sofisticati sistemi aziendali per l’accesso sicuro anche da remoto. In questo modo è possibile ridurre i costi legati alla produttività aziendale e, al contempo, rendere l’attività lavorativa flessibile e più permeata nelle esigenze familiari.

Lavorare da casa consente di risparmiare tempo (per spostarsi dalla propria abitazione al lavoro e viceversa), e spese (di trasporto e di vitto), e di ridurre anche gli impatti ambientali. E, infatti, lo smart working produce senza dubbio un beneficio immediato per quanto riguarda l’equilibrio vita privata – lavoro con conseguente incremento della soddisfazione del lavoratore. Sul versante invece della produttività, in base ad un’inchiesta dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, su un campione di 600 persone coinvolte nel progetto, non si è registrato alcun segnale di diminuzione dei livelli di efficienza e efficacia delle mansioni svolte.