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Mercati, perché serve una nuova definizione per gli emergenti

11 Novembre 2015 10:51
financialounge -  mercati emergenti metodo Ward Natixis Investment Managers paesi core Peter Marber
I cosiddetti mercati emergenti sono ora generalmente più maturi rispetto a dieci anni fa e sono troppo grandi per essere ignorati dagli investitori. Basti pensare che oggi contribuiscono ad oltre il 50% della produzione globale a parità di potere d’acquisto e che la maggior parte di tali paesi mostra rating del credito «investment grade» e mercati finanziari in rapida crescita.

Sono questi i principali fattori che, secondo Peter Marber, Head of Emerging Markets Investments di Loomis, Sayles & Company (gruppo Natixis Global AM), gli investitori devono tenere a mente a proposito di mercati emergenti. Ma il manager, in virtù della propria esperienza ultra ventennale nell’analisi economica e negli investimenti sui mercati emergenti, sia in qualità di professore che di gestore di portafogli, si è posto una questione: ridefinire i mercati emergenti.

“Dal 1989, la Banca mondiale definisce un mercato emergente come un paese il cui prodotto interno lordo (PIL) pro capite non sia superiore a 13 mila dollari. Ma il PIL è semplicemente una statistica di «ricchezza»: un paese con un PIL pro capite di 12.999 dollari è evidentemente molto diverso da uno con un PIL pro capite di 1.500 dollari” constata Peter Marber secondo il quale occorre un nuovo metodo multidimensionale per classificare i mercati emergenti: un approccio che tenga conto di un insieme di indicatori diversi per ottenere una classifica del livello di maturità socio-economica dei paesi.

Utilizzando il Metodo di Ward, un approccio quantitativo che raggruppa vari elementi sulla base della cosiddetta devianza minima di alcuni fattori, e raggruppando quindi elementi le cui qualità sono statisticamente più simili, Peter Marber ha poi suddiviso circa 100 paesi a livello mondiale, sia avanzati che emergenti, in 10 gruppi. Il Gruppo 10 era quello col punteggio più alto sulla base di nove criteri specifici, a rappresentare i paesi più maturi e più resistenti a possibili shock e cambiamenti. Il Gruppo 1 era quello col punteggio più basso, e rappresentava i paesi meno maturi e probabilmente più vulnerabili ad una serie di rischi. Fra le altre otto categorie di fattori esaminati, due comprendevano dati sul numero di abitanti e sul livello di competitività, tre sul rating creditizio, penetrazione del mercato azionario e valutazioni monetarie, e tre su sanità, istruzione e clima politico.

Due le evidenze emerse dallo studio. Prima di tutto, è interessante notare come i punteggi numerici ottenuti da cinque economie non siano associabili ad alcuno dei 10 gruppi a causa di caratteristiche “estreme” in uno o più settori. Si tratta degli Stati Uniti (che presentano una popolazione numerosa e molto ricca), della Cina (popolazione vastissima), India (popolazione particolarmente vasta), Hong Kong (caratterizzato da elevata ricchezza, forte sviluppo finanziario e da una popolazione contenuta) e il Qatar (valori anomali a causa della ricca ma numericamente piccola popolazione).

In secondo luogo, gran parte dei paesi «emergenti» è salita in classifica durante il decennio mentre alcune economie «avanzate» sono scivolate in basso. Fra i primi vi sono il Ghana, salito dal Gruppo 1 al Gruppo 5, mentre le grandi perdenti sono l’Islanda, l’Irlanda, l’Italia e la Spagna, passate dal Gruppo 10 al Gruppo 8. Le due grandi sorprese vengono dal Medio Oriente, con il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti che sono crollati dal Gruppo 8 al Gruppo 4. “Lo studio rivela che potrebbe essere utile considerare lo sviluppo di un paese come un processo continuo in cui ciascuna fase del progresso socioeconomico viene attraversata in modo molto graduale, anche se gli estremi sono ben distinti. In effetti, poiché molti paesi «emergenti» hanno colmato diversi gap socioeconomici e si sono avvicinati ai paesi «avanzati», oggi è molto difficile definire con precisione ciò che è «emergente» e ciò che è «avanzato», è evidente che vi sia necessità di formulare più categorie” conclude Peter Marber.
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