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Come ridurre il rapporto debito/ PIL in modo strutturale

21 Ottobre 2015 10:59
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Volendo semplificare al massimo vi sono solo tre vie per ridurre il rapporto debito/PIL: politica fiscale, politica monetaria, o politica economica. Nel primo caso il governo può generare un avanzo primario per ridurre il debito, battendo la strada della cosiddetta austerità. In alternativa, può anche optare per la repressione finanziaria, incentivando o convincendo gentilmente gli investitori privati ad acquistare titoli di Stato, in modo da favorire un calo dei rendimenti. Nel caso invece della politica monetaria, le banche centrali possono mirare ad allentare le condizioni monetarie in modo da ridurre il più possibile il tasso d'interesse reale o quanto meno spingerlo al di sotto del tasso di crescita reale: questa è la prassi seguita attualmente dalle autorità monetarie di tutto il pianeta con la politica dei tassi zero (ZIRP), che è stata persino estesa ai tassi d'interesse a lungo termine attraverso il quantitative easing (QE). Inoltre, le autorità monetarie possono anche puntare a ridurre il valore reale del debito attraverso una politica molto espansiva e in definitiva un'accelerazione dell'inflazione. Infine, e siamo alla politica economica, i governi possono inoltre attuare riforme economiche al fine di dare impulso alla crescita reale e ridurre il rapporto debito/PIL incrementando il prodotto interno lordo, cioè il denominatore.

Secondo Yves Longchamp, Head of Research di ETHENEA Independent Investors (Svizzera) S.A., solo una corretta e lungimirante politica economica incentrata sulle riforme strutturali tese a migliorare le potenzialità di creare ricchezza nel paese consentono di puntare a una riduzione del rapporto debito/PIL senza importanti controindicazioni. Seguiamo insieme il ragionamento del manager.

Le iniziative osservate negli ultimi anni per ridurre il rapporto debito/PIL possono dar luogo a una riduzione del rapporto solo se nel frattempo non sono vanificate da un'altra variabile. La politica dei tassi zero può intervenire su uno dei fattori dell'equazione, ma i disavanzi di bilancio possono agire su un altro, con un risultato netto incerto, proprio come la leva dell’inflazione (che può generare pericolosi effetti collaterali qualora sfociasse in inaspettate tensioni dei prezzi al consumo) o la repressione finanziaria (che tende a incidere negativamente sulla spesa per consumi e sulla crescita economica). Questi problemi evidenziano un importante limite nelle leggi che cercano di prevedere e stimare la tendenza del rapporto debito/PIL: le relazioni a lungo termine non si materializzano nello stesso periodo, le si tende a lasciare fuori dal quadro o per miopia o per motivi di urgenza. Vi è però un’interrelazione che si manifesta con effetto immediato e della quale i decisori politici sembrano essere pienamente consapevoli: quella tra disavanzo primario e crescita del PIL.

Nel discutere la politica fiscale, i politici spesso promuovono l'austerità quale misura per ridurre il debito sovrano. Tuttavia, quando accade l'opposto e la spesa pubblica supera le entrate, le autorità responsabili si giustificano adducendo quale motivazione la volontà di dare impulso al PIL. La spesa pubblica eccedente le entrate tributarie non mira secondo loro, ad accrescere il debito ma a generare spesa addizionale e ad alimentare l'attività economica. Pertanto, il saldo primario influisce non solo sul debito nazionale, ma anche sul PIL annuo in rapporto al quale viene misurato. Se debito e PIL aumentano o diminuiscono contemporaneamente, l'effetto sul loro rapporto non è univoco. Per determinare il risultato finale, ipotizziamo che il nuovo debito crei almeno lo stesso valore economico supplementare attraverso la spesa pubblica. Un disavanzo primario equivale in tal caso ad aggiungere il medesimo ammontare nominale al numeratore e al denominatore del rapporto debito/PIL.

Visto così può sembrare un rimedio miracoloso per gli Stati sovrani con un debito eccessivo, ma potrebbe rivelarsi in realtà una trappola: un aumento permanente del debito che, nel frattempo, è diventato ancora più gravoso. Mentre lo stimolo alla produzione derivante dalla spesa addizionale è limitato al periodo corrente, l'impatto sul livello del debito è duraturo. Questo squilibrio deriva dal mettere a confronto una variabile di livello (il debito) con una variabile di flusso (il PIL). Pertanto, la possibilità di ridurre il rapporto debito/PIL attraverso un disavanzo di bilancio dipende dagli effetti di quest'ultimo sul PIL e dalla persistenza dello stimolo fiscale nel tempo. Il parametro rilevante al riguardo, detto moltiplicatore fiscale, assume un'importanza cruciale per la spesa pubblica: molti provvedimenti mirati alla riduzione del debito che osserviamo in realtà sono attraenti solo in un'ottica ristretta o di breve periodo. Ecco perché le uniche misure che appaiono prive di controindicazioni sono le riforme economiche.
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