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Borsa USA, le analogie con la bolla internet del 2000

1 Settembre 2014 14:25
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Ogni giorno, il mercato toro americano sembra assomigliare sempre più alla bolla dot-com della fine degli anni ‘90. Ma non è così se si allarga lo sguardo alle valutazioni.
L’indice S&P500 ha chiuso la scorsa settimana sopra i 2.000 punti per la prima volta mentre il Nasdaq Composite Index è sotto soltanto del 10 per cento rispetto al record raggiunto nel marzo 2000.

Per gli investitori che hanno creduto nell’equity a stelle e strisce si tratta di rendimenti annualizzati del 24,5 per cento dal marzo 2009, rispetto al 27,1 per cento registrato in uno stesso arco di tempo che terminava il 24 marzo 2000, quando fu registrato il picco del rally dei titoli internet.

Tuttavia, mentre le azioni americane stanno accelerando il ritmo di rendimento come quello del 2000, vengono registrati profitti aziendali record, tassi di interesse vicini allo zero e una crescita economica che è destinata ad accelerare. Ma, soprattutto, mentre la bolla dot-com ha raggiunto il suo picco con l’S&P500 che trattava 30 volte gli utili annuali delle sue aziende, oggi la valutazione dell’indice allargato di Wall Street si ferma a circa 16,9 volte i profitti stimati per quest’anno.

"Siamo sul versante costoso del fair value, ma certamente non ai livelli esagerati dell’inizio del 2000” ha tenuto a precisare Ed Hyland, uno specialista di investimento globale con sede ad Atlanta presso J.P. Morgan Chase Private Bank che ha poi aggiunto "Esiste un ulteriore potenziale rialzo per il mercato”.

Cinque anni di guadagni hanno spinto l'indice S&P 500 al +195 per cento, a fronte di un +236 per cento dell’indice nel marzo 2000: un contesto nel quale la Federal Reserve, per bocca di Janet Yellen, ha sottolineato come le valutazioni delle piccole società di biotecnologia e dei social-media fossero tirate: la bolla dot-com è stata caratterizzato da società non redditizie di internet che collocavano sul mercato proprie azioni per la prima volta, come la Pets.com, che raccolse 82,5 milioni dollari nel mese di febbraio 2000 per poi chiudere le attività qualche tempo dopo.
Questo mercato toro, invece, ha visto guadagni diffusi attraverso tutti i tipi di società, a differenza della bolla tecnologica, quando le migliori performance si erano concentrate sui titoli dell’information technology, di internet e dei multi media.

"I fondamentali sottostanti giustificano l’attuale livello dell’azionario USA" ha dichiarato convinto in un’intervista Cameron Hinds, responsabile degli investimenti presso Wells Fargo Bank NA a Lincoln, Nebraska, che ha poi aggiunto: "Non siamo affatto allo stesso livello degli estremi del 2000, quando le valutazioni erano chiaramente eccessive ed erano evidenti non solo col senno di poi ma anche a coloro che in quel momento avessero guardato ai fondamentali".

Osservando l'indice CAPE Shiller (il Cyclically Adjusted Price to Earnings Ratio ideato da Robert Shiller), Emmanuel Bourdeix, Head of Seeyond, Co-CIO Natixis Asset Management, ritiene invece che le azioni statunitensi stiano diventando costose.
"Se i prezzi azionari continueranno ad aumentare ad un ritmo più sostenuto rispetto agli utili societari, potremmo entrare in “zona bolla”, secondo la configurazione già osservata della fine degli anni Novanta, quando la volatilità aumentò durante la fase "euforica" del mercato rialzista" sostiene Bourdeix.
Una situazione simile si è verificata anche alla fine della fase di mercato rialzista del 2003-2007.

In tutti i casi, i risparmiatori, soprattutto quelli italiani alla ricerca di una diversificazione al proprio portafoglio azionario, devono comunque prestare molta attenzione alle scelte di investimento perché se è vero che i fondamentali giustificano gli attuali livelli e che Wall Street resta il faro delle Borse mondiali, è altrettanto vero che da questi livelli record gli indici di Borsa USA hanno molto più spazio per una correzione che per un rialzo.
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