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Arabia Saudita

Petrolio, la guerra dei prezzi è iniziata

Secondo Mark Lacey di Schroders, la decisione dell’Arabia Saudita di aumentare le esportazioni ha provocato il maggior taglio dei prezzi del petrolio dal 2004, mettendo sotto pressione le società del settore

di Chiara Merico 10 Marzo 2020 21:00

Il regno dell’Arabia Saudita ha dichiarato a tutti gli effetti una guerra dei prezzi nel mercato del petrolio, dopo il fallimento dei dialoghi con la Russia sulle quote di output: la decisione ha portato a “un crollo del prezzo ufficiale di vendita di 7-8 dollari al barile per l’Europa e gli Usa e di 4-6 dollari al barile in Asia”, spiega una nota a cura di Mark Lacey, head of commodities di Schroders.

TAGLIO DRASTICO DEI PREZZI


“Inoltre, a livello locale è stata data la notizia che l’Arabia Saudita aumenterà le esportazioni, portandole fino a 800mila barili al giorno in un mercato in cui l’offerta è già eccessivamente alta”, sottolinea l’esperto, secondo cui si tratta del maggiore taglio dei prezzi del petrolio dal 2004 almeno, e ciò “spinge i prezzi di alcuni tipi di petrolio come Arab Light ai minimi sin dal quarto trimestre del 2009, mentre in Europa Arab Light verrà scambiato a 10,25 dollari Usa in meno rispetto al Brent crude”.

PREZZI ATTUALI NON PROFITTEVOLI


La mossa potrebbe costare cara all’Arabia Saudita: le stime parlano di 120 miliardi di dollari, dato che, come rimarca Lacey, “l’attuale prezzo non è profittevole. Infatti, le quotazioni del greggio oggi sono significativamente inferiori al pareggio contabile di tutti i produttori dell’Opec. È difficile immaginare che questi prezzi possano essere sostenibili senza tagli significativi ai programmi fiscali, che a loro volta porterebbero a notevoli turbolenze”.

PREZZO INFERIORE AI COSTI OPERATIVI


In più, fa notare l’esperto di Schroders, “l’attuale prezzo del greggio è inferiore ai costi operativi dell’industria non-Opec, dato che le maggiori società petrolifere integrate necessitano di ottenere almeno 35 dollari al barile per sostenere i costi operativi”.

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DIVIDENDI NON COPERTI A QUESTI LIVELLI DI PREZZO


Se il prezzo del greggio si dovesse mantenere sulla quotazione di 35 dollari al barile per il resto dell’anno, i flussi di cassa totali per le compagnie petrolifere si ridurranno del 50%-60%, e “i dividendi di tutte le società integrate non saranno coperti”, sottolinea Lacey. “Sebbene non riteniamo che vedremo tagli nei dividendi nel breve termine, in assenza di una ripresa del prezzo del greggio tali tagli diventeranno una certezza. Nessuno nell’industria è infatti in grado di lavorare a 30 dollari al barile”.

ACCUMULO DI SCORTE


Con la prospettiva di un’Arabia Saudita che intende aumentare le esportazioni, il mercato del petrolio potrebbe vedere un accumulo continuativo delle scorte per tutto il 2020. “Questo è il motivo per cui il prezzo del petrolio è crollato del 30% in una sola notte”, osserva l’esperto. In questo contesto, le società petrolifere quotate non sono mai state così fragili negli ultimi 20 anni. Gli investitori hanno venduto le proprie quote, in quanto i timori Esg (ambientali, sociali e di corporate governance) indirizzano il capitale verso il settore delle rinnovabili. I pochi detentori che rimangono stanno chiedendo ritorni elevati agli azionisti, e ciò sta limitando il capitale.

RISCHI DAL LATO DELLA DOMANDA


I rischi per gli equilibri del petrolio nei prossimi mesi riguardano decisamente la domanda e il fatto che nel breve termine sarà inevitabile un ampio accumulo di scorte, ricorda l’esperto. “Tuttavia, a differenza del periodo 2013-2018, la crescita dell’offerta non-Opec oltre il breve periodo ora sta rallentando notevolmente ed è contenuta e insufficiente in termini assoluti. Se guardiamo al periodo 2021-2025, il mercato del greggio soffrirà sul lato dell’offerta. Abbiamo quindi bisogno che l’Opec aumenti la produzione oltre l’attuale spare capacity”.

STABILIZZAZIONE DOPO LA FINE DELL’EPIDEMIA DI CORONAVIRUS


Di conseguenza, conclude l’esperto, “ironicamente il modo in cui vediamo il mercato del petrolio è semplice. Più resteremo fissi sui prezzi attuali, più l’offerta verrà rimossa dall’industria. Ciò mette il mercato di fronte a una fase di notevole stretta e di prezzi molto più elevati, finché alla fine entreremo in un periodo di domanda stabile e di ripresa dei rifornimenti. Affinché si verifichi questa stabilizzazione, abbiamo bisogno che il coronavirus si affievolisca, che l’attività industriale riparta e che le industrie riducano le scorte. Nel brevissimo periodo, è difficile che ciò accada, ma se guardiamo oltre il breve termine, i rischi al rialzo per le quotazioni del petrolio sono significativi”.
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