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Mercati emergenti sulla strada giusta, ma è presto per reinvestire

Gli emergenti restano un universo di investimento sempre più eterogeneo e i fattori che hanno fatto pressione su di essi dall’inizio di quest’anno non sono scomparsi del tutto.

9 Ottobre 2018 07:50

A cinque anni dalle turbolenze del 2013, tutte le fragilità dei paesi emergenti, di cui peraltro gli addetti ai lavori erano a conoscenza, sono tornate a farsi sentire. Nel maggio 2013 a scatenare il panico sui mercati emergenti fu il cosiddetto taper tantrum, l’annuncio da parte del presidente della Federal Reserve (Ben Bernanke) di un’imminente riduzione del programma di acquisti sul mercato di bond in dollari da parte della banca centrale americana.

LA COMBINAZIONE MICIDIALE DI DUE FATTORI


Da inizio anno, invece, a determinare l’avversione degli investitori verso gli asset finanziari emergenti è stata la combinazione micidiale di due fattori. Da un lato la politica economica fortemente voluta dal presidente Trump con i suoi tagli fiscali e gli stimoli di bilancio in un'economia già in piena espansione. Dall’altro gli annunci continui di dazi commerciali da parte di Washington, che hanno esercitato una minaccia continua al regolare flusso del commercio globale. Due fattori che hanno alimentato le prospettive inflazionistiche americane e le prospettive recessive nei mercati emergenti.

TRUMP POTREBBE ANNUNCIARE NUOVI TAGLI FISCALI


Ma c’è di più. Secondo alcuni analisti, presto l’amministrazione Trump potrebbe tirar fuori dal cassetto ulteriori tagli fiscali. Sebbene al momento non ci sia nulla di certo in questo senso, il fatto che l'introduzione graduale dei programmi infrastrutturali sia ancora in cantiere lascia intravedere più di una concreta possibilità a questa eventualità. Un contesto che metterebbe ulteriore pressione agli asset dei paesi in via di sviluppo, soprattutto quelli più indebitati in dollari e quelli con i maggiori disavanzi commerciali.

Investimenti, c’è valore nelle azioni penalizzate dai rischi politici


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LA FED POTREBBE DIVENTARE PIÙ AGGRESSIVA


Infatti, se l’America, che già viaggia su livelli di ripresa vigorosa (la Fed ha innalzato le sue previsioni a oltre il 4% per la fine dell'anno) ricevesse ulteriori nuovi stimoli, la creazione di nuovi posti di lavoro non si arresterebbe alimentando in modo rilevante l'inflazione salariale che a settembre ha già raggiunto quota +2,8% su base annua. La Fed, a quel punto, potrebbe essere praticamente costretta a proseguire il proprio percorso di rialzo dei tassi in modo più aggressivo, il che farebbe apprezzare ulteriormente il dollaro e, a cascata, acuirebbe le implicazioni sui paesi emergenti descritte sopra.

LE ELEZIONI USA DI MID TERM


“Il presidente Trump sta facendo di tutto per un ultimo sprint prima delle elezioni di medio termine, che non può dare per scontate” spiega Franck Nicolas, Head of multi- asset, multi-affiliate investment of Dynamic Solutions di Natixis Investment Managers. In questo contesto è fisiologico che i mercati emergenti ne siano usciti pesantemente danneggiati. I timori dei mercati finanziari hanno indebolito la maggior parte delle valute emergenti il che rende le importazioni di questi paesi più care, spingendo l’inflazione interna. In parallelo, la crescita di queste economie è stata depotenziata dal protezionismo statunitense.

La forza di una valuta dipende dalla politica. E il dollaro non teme rivali


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ANCORA PRESTO PER TORNARE SUI MERCATI EMERGENTI


“L'unica contromisura è rappresentata dall'aumento dei tassi” fa sapere Franck Nicolas, il cui riferimento è, per esempio, all'Argentina (paese nel quale attualmente sono in vigore i tassi d'interesse più alti del mondo), alla Turchia (che di recente ha portato i propri saggi ufficiali dal 17,75% al 24%), mentre il Sudafrica è entrato in recessione. “Solo la Cina ha un reale margine di manovra. Per gli altri paesi, anche se i loro problemi non sono probabilmente ancora finiti, il peggio potrebbe essere archiviato ora che la maggior parte delle tariffe doganali tra gli Stati Uniti e la Cina sono in vigore” specifica l’esperto. In ogni caso, sebbene i mercati azionari emergenti sembrino sulla via della stabilizzazione, per Franck Nicolas è ancora troppo presto per riprendere in esame l’investimento nei mercati emergenti, un universo, peraltro, sempre più eterogeneo.
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