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ESG

Moda, il futuro è circolare e sostenibile

Il modello “usa e getta” dell’industria della moda sta esercitando una seria pressione su alcune risorse naturali non rinnovabili: l’analisi di Martin Currie (gruppo Legg Mason)

22 Febbraio 2019 12:56
financialounge -  ESG finanza sostenibile Legg Mason Martin Currie moda patagonia

L’industria della moda vale qualcosa come 1.300 miliardi di dollari, grazie alla produzione mondiale di abiti che in 15 anni è quasi raddoppiata e che coinvolge oggi oltre 300 milioni di persone impiegate lungo la relativa catena del valore. Ma il modello “usa e getta” dell’industria del fashion non sembra più sostenibile. Un dato su tutti: i tassi di utilizzo dei capi di abbigliamento sono diminuiti negli ultimi 15 anni del 36%. Inoltre si stima che circa la metà del vestiario venga gettata entro un anno dall’acquisto e che alcuni capi d’abbigliamento siano indossati solo 7 volte prima di essere scartati.

UN PERICOLOSO CIRCOLO VIZIOSO


Un fenomeno che genera un pericoloso circolo vizioso, a discapito di alcune risorse naturali non rinnovabili come l’acqua: basti pensare che i processi della manifattura tessile richiedono ogni anni ben 93 miliardi di metri cubi d’acqua, con severe implicazioni in termini di inquinamento, dal momento che il processo di colorazione dei tessuti risulta tra i maggiori inquinatori al mondo di acqua potabile. Inoltre, tutte le emissioni di gas serra dell’industria della moda in un anno risultano superiori a quelle prodotte sommando le emissioni dei trasporti marittimi internazionali e di tutti i voli. A tutto questo vanno ad aggiungersi le critiche sulle condizioni di lavoro nel settore, dove spesso vengono impiegati minori, le retribuzioni sono basse e gli ambienti di lavoro poco salubri.

CONSUMATORI PIÙ CONSAPEVOLI


“L’aspetto positivo è che stanno emergendo segnali di una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori. Un fenomeno che, se affiancato a nuovi accordi per standard di sostenibilità più elevati, dovrebbe generare significativi cambiamenti sulle aziende di moda”, fa sapere David Sheasby, head of stewardship and Esg di Martin Currie, affiliata del gruppo Legg Mason.

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UN APPROCCIO DI SOSTENIBILITÀ A LUNGO TERMINE


A tale proposito l’esperto rivela che il proprio approccio di investimento di lungo termine viene declinato focalizzandosi proprio sulla sostenibilità delle compagnie correlate con l’industria della moda. Sheasby, in particolare, si propone di delineare quale sia l’approccio aziendale nell’ambito sia dei consumi di risorse che delle problematiche di lavoro sul ciclo di vita di un prodotto. L’esperto cita l’esempio di Patagonia, società di abbigliamento sportivo non quotata in Borsa. Si tratta di una compagnia che da molti anni dimostra come sia possibile, anche nell’industria della moda, sviluppare con successo un modello di business allineato con le priorità ambientali e sociali.

L’ESEMPIO DI PATAGONIA


“La compagnia nel tempo ha saputo intercettare le nuove inclinazioni dei consumatori beneficiando di una sorprendente fedeltà al proprio brand grazie alla combinazione di più fattori sostenibili: dalla creazione di prodotti durevoli allo sviluppo di materiali organici e riciclati, dalla donazione di almeno l’1% dei ricavi a gruppi ambientalisti alla promozione di iniziative di giustizia sociale per i suoi dipendenti”, spiega Sheasby. L’esempio di Patagonia e di altre aziende leader della sostenibilità conferma, secondo l’esperto, la convinzione che le imprese dell’industria della moda che sviluppano processi “circolari” nella produzione – come una maggior durabilità del prodotto finale o il riciclo chimico e meccanico – sono nelle condizioni ideali per crescere ed intercettare nuove aree di mercato.
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