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DEF Italia, attenti a giocare con il fuoco… delle percentuali

Maria Paola Toschi (J.P. Morgan AM) spiega perché il decifit/PIL al 2,8% annunciato da Macron per la Francia non si può applicare anche all’Italia. E illustra i pericoli per il nostro paese derivanti dalle scelte del bilancio 2019.

27 Settembre 2018 13:00
financialounge -  italia legge di bilancio 2019 Maria Paola Toschi Morning News http://www.governo.it/media/incontro-conte-macron-parigi/9623

Nei giorni scorsi il presidente Macron ha annunciato un drastico piano 2019 di tagli alle tasse per famiglie e aziende affermando che porterà dal 2,6% al 2,8% il rapporto deficit/PIL della Francia nel 2019. Quasi immediatamente il vicepremier italiano Luigi Di Maio ha dichiarato che anche l'Italia, stato sovrano quanto la Francia, può seguire l'esempio e fare lo stesso. Si è acceso subito un dibattito che coinvolge tutti gli italiani, sia quelli che hanno votato a favore delle forze di questo esecutivo che quelli orientati all’opposizione. Abbiamo chiesto a Maria Paola Toschi, Executive Director Market Strategist di J.P. Morgan Asset Management, la sua opinione per cercare di comprendere i termini della situazione.

Il governo italiano può seguire l'esempio della Francia?


“Il rapporto decifit/PIL al 2,8% per la Francia non si può applicare anche all’Italia per due motivi molto semplici. Il primo è che l'Italia cresce meno della Francia per una serie di motivi storici e strutturali. Secondo gli ultimi dati OCSE, l’Italia crescerà quest’anno all’1,2% (stima abbassata di recente dal precedente 1,4%) mentre le previsioni per il 2019 sono pari a solo +1,1%. Gli stessi dati per la Francia sono pari a +1,6% e +1,8% rispettivamente per il 2018 e 2019. In secondo luogo, l'Italia ha un debito/PIL di oltre il 130%, quindi ben superiore a quello della Francia che è di circa il 100%. Questo significa che l'Italia è più rischiosa della Francia in termini di dinamiche e sostenibilità fiscali. Non a caso, ciò si riflette in un diverso spread di rendimento decennale verso il bund tedesco che per la Francia è pari a 32 punti base (+0,32%) mentre per l’Italia è pari a 236 punti base (+2,36%). Quindi un deficit più alto per l’Italia significa un processo molto più difficile e lungo per raggiungere una stabilità fiscale e ridurre il debito rispetto al PIL”.

In ogni caso, a prescindere dalle ragioni tecniche, politiche e di opportunità, se il governo italiano annunciasse un piano per l'Italia similare a quello di Macron con deficit/PIL 2019 al 2,8% cosa potrebbe succedere sui mercati?


“In linea teorica il 2,8% di deficit su PIL non piacerebbe ai mercati per due motivi. Innanzitutto sarebbe ben superiore allo 0,8% che era il livello previsto per il 2019 nella precedente legge di bilancio per il 2019. Inoltre sarebbe superiore a quanto circolato di recente e più vicino al 2%. Tuttavia il livello del 2,8% sarebbe più accettabile qualora fosse la conseguenza dell’introduzione di misure si sostegno alla crescita e per lo sviluppo”.

E quali conseguenze avrebbe sul giudizio della agenzie di rating relativamente dal debito pubblico del nostro paese?


“La prima agenzia che si è dichiarata, Fitch, ha cambiato l’outlook da stabile a negativo, lasciando invariato il rating. Ciò significa chiaramente che le agenzie stanno monitorando il nostro paese con grande attenzione per valutare la sostenibilità fiscale della prossima legge di bilancio. Un giudizio negativo, o peggio ancora un abbassamento di rating, avrebbe conseguenze molto negative perché alzerebbe il rischio paese, determinerebbe un deflusso di investitori dall’Italia e alla fine renderebbe più difficile e costoso finanziare il nostro debito. Ricordiamo che abbiamo un debito di oltre 2mila miliardi di euro che dobbiamo finanziare ogni anno ricorrendo a investitori nazionali e internazionali. Secondo gli ultimi dati poco più del 30% del debito viene infatti finanziato da investitori esteri. Lo scenario più negativo sarebbe un abbassamento del rating al di sotto della soglia che definisce la eligibilità dei titoli italiani nel piano di acquisti della BCE. Ciò farebbe venire meno il sostegno della BCE ai nostri titoli e ai nostri mercati, determinando un effetto di crescita esponenziale del costo del debito e quindi delle risorse che il nostro paese dovrebbe utilizzare per finanziare il debito invece che indirizzarle verso iniziative di crescita, sviluppo, e ammodernamento del paese. Questa ipotesi sembra tuttavia al momento ancora lontana”.
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