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Wall Street, il progetto di riforma fiscale non avrà gli stessi effetti in tutti i settori

Solo 4 settori su 10 dovrebbero beneficiare realmente del taglio dell’aliquota fiscale: telecomunicazioni, sanità, beni di consumo voluttuari e primari.

27 Ottobre 2017 09:17
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L’ultima stima espressa dal consenso degli analisti censiti da Thomson Reuters è del 23 ottobre e indica un +3,8% di aumento dei profitti aziendali dell’S&P500 relativamente al terzo trimestre di quest’anno. Per ognuno dei prossimi quattro trimestri, invece, le previsioni sono per un incremento a doppia cifra: dal +12,1% per il quarto trimestre di quest’anno al +10,9% per i primi tre mesi del 2018, dal +10,1% del secondo trimestre 2018 al +15,9% per il terzo trimestre del prossimo anno.

Se questa dinamica di profitti delle imprese statunitensi fosse rispettata, il rapporto prezzo/utili (p/e) dell’S&P500, che attualmente si attesta a 20,3, si proietterebbe a 18,1: un valore che, in ogni caso, resta ampiamente al di sopra del livello medio storico (posto a quota 16).

Anche per questo c’è molta attenzione sul progetto di riforma fiscale appena presentato da Trump. E non soltanto per gli operatori di Wall Street: tenendo conto dell’importanza storica della borsa americana per gli altri mercati, gli impatti della riforma non riguardano solo l’azionario americano.

Il punto però e che, se il taglio delle imposte societarie dal 35% al 20% dovrebbe far salire gli utili, l’aliquota effettiva è molto distante dal tasso teorico con rilevanti disparità a seconda dei settori di attività, della quota di vendite all’estero e dell’entità della capitalizzazione. Ecco perché, parlando di riforma fiscale bisogna assolutamente evitare le conclusioni generalizzate.

“In base ai nostri calcoli e alle nostre stime, solo quattro settori su dieci dovrebbero beneficiare realmente del taglio dell’aliquota fiscale: telecomunicazioni, sanità, beni di consumo voluttuari e beni di consumo primari” fanno sapere gli esperti di Amundi, che poi aggiungono: ”Anche altri tre settori, quello industriale, quello energetico e quelle dei materiali, dovrebbero trarne vantaggio, ma in misura minore. Infine vi sono tre altri settori (utility, informatico e finanziario) che, vista la situazione particolare in cui si trovano, non beneficeranno del taglio delle imposte”.

I tre settori in questione avrebbero infatti situazioni, diverse tra loro, ma tutte poco inclini a poter sfruttare la riforma fiscale di Trump. Il settore informatico, per esempio, paga la stretta correlazione tra la percentuale di vendite negli Stati Uniti e la pressione fiscale: più un settore è internazionale (e quello hi tech USA lo è alla grande) e minore sarà il carico fiscale. Le utility, invece, sono compagnie a vocazione nazionale (il 95% circa del fatturato è domestico) e usufruiscono già di sgravi fiscali molto ampi. Infine, per quanto riguarda il settore finanziario, nel periodo 2007-2016 esso è stato tassato attorno al 6%, e ciò testimonia il peggioramento della sua redditività all’inizio della Grande crisi finanziaria (2008-2009) e la costituzione di significativi crediti d’imposta differiti a partire da allora.

“I titoli azionari nazionali e le imprese a piccola e media capitalizzazione dovrebbero ampiamente beneficiare del taglio delle imposte. Solo il tempo ci dirà se la riforma fiscale annunciata riuscirà a superare l’ostacolo del Congresso” puntualizzano i professionisti di Amundi, secondo i quali, se anche venissero preservati i punti principali del programma, l’impatto sulle società quotate sarà comunque più limitato del previsto visto il divario tra la tassazione teorica sulle imprese (40% comprese le tasse locali) e la tassazione effettiva (25% di media dal 2007 al 2016).
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