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Wall Street, cresce l’ansia per l’inflazione di novembre

C’è grande attesa per i dati sul mercato del lavoro di novembre negli Stati Uniti: con un tasso di disoccupazione al 3,7%, le retribuzioni potrebbero segnare un rialzo del 3,2% su base annua mettendo pressione su Wall Street e Fed

6 Dicembre 2018 10:01
financialounge -  inflazione USA Wall Street

Che l’inflazione sia uno degli aspetti seguiti con maggior attenzione dagli investitori in questo 2018 non ci sono dubbi. A fine gennaio, proprio quando vennero diramati i dati sul mercato del lavoro negli Stati Uniti, un dato sul rialzo delle retribuzioni molto superiore alle attese fece scattare l’allarme sui mercati che nel giro di poche settimane registrarono una correzione di 10 punti percentuali. Infatti se salgono le retribuzioni, aumentano le aspettative per l’inflazione e, a cascata, i tassi di interesse per adeguare il rendimento reale (al netto del carovita). Ne deriva che il mercato obbligazionario diventa più attraente (grazie ai rendimenti più alti) e quello azionario deve necessariamente ridimensionarsi (in quanto meno attraente di quello obbligazionario), soprattutto se la corsa delle Borse dura da quasi 10 anni senza (quasi) soluzione di continuità.

RIALZO DELLE RETRIBUZIONI AL 3,2% ANNUO


Ebbene domani potremo sperimentare nuova volatilità. Sono infatti attesi i dati mensili sul mercato del lavoro statunitense con la crescita salariale che potrebbe registrare un ulteriore rialzo dal 3,1% di ottobre al 3,2%, il nuovo picco di questo ciclo, che finirebbe per sostenendo in prospettiva la dinamica dei prezzi al consumo. Molti economisti prevedono infatti che la paga oraria possa trovare nuovo slancio sulla scia della decisione di Amazon di iniziare a pagare tutti i lavoratori almeno 15 dollari l'ora a partire da novembre. L'aumento dei salari generato da una economia forte ha spaventato gli investitori e, fino a poco tempo fa, anche alcuni funzionari della Fed.

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TASSO DI DISOCCUPAZIONE USA AL 3,7%


D’altra parte il tasso di disoccupazione USA si attesta ora al 3,7%, il minimo degli ultimi 48 anni, mentre anche a novembre dovrebbero essere stati creati altri 200.000 nuovi posti di lavoro. A preoccupare gli investitori si aggiungono poi le tariffe statunitensi sui principali beni industriali importati come l'acciaio e l'alluminio. Ciò determina un aumento dei costi per le imprese americane e potrebbe potenzialmente alimentare l'inflazione.

PRIMI EFFETTI DEI DAZI COMMERCIALI


"Molte aziende hanno riferito di aver constatato per la prima volta gli effetti delle maggiori tariffe cinesi sulle loro fatture e hanno espresso preoccupazione per il fatto che i margini potrebbero soffrire in futuro", ha dichiarato Jamie Satchi, economista presso la MNI Indicators, provider di dati macroeconomici unici e approfondimenti per le imprese e la comunità degli investitori. E’ però anche vero che una economia forte, come lo è quella americana attuale, potrebbe anche superare le preoccupazioni per la minaccia a distanza dell'inflazione. In quest’ottica, l'ultimo barometro aziendale di MNI, segna i massimi livelli di quattro anni e mezzo. In parallelo, alcuni dati previsti questa settimana sulle spese di costruzione e produzione dovrebbero confermare che l'economia degli Stati Uniti sta ancora crescendo in maniera solida come negli ultimi trimestri.

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NESSUN VERO CAMPANELLO D’ALLARME


"Dobbiamo ammettere che esistono alcune preoccupazioni sul fronte economico, ma riteniamo che sia ancora troppo presto per iniziare a considerarle dei veri e propri campanelli d’allarme", hanno scritto ai propri clienti gli economisti Michelle Girard e Kevin Cummins di NatWest Markets, provider finanziario specializzato nella gestione del rischio ai clienti del Regno Unito e dell'Europa occidentale.
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