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Si va al voto per l’Europa, ma il controllo è già blindato

Le elezioni del Parlamento non modificheranno un sistema di controllo basato su un ‘patto di sindacato’ dove le azioni si pesano e non si contano per la scelta di chi guiderà da novembre le principali istituzioni

di Redazione 6 Maggio 2019 10:32
financialounge -  BCE elezioni europee Mario Draghi Weekly Bulletin https://www.flickr.com/photos/european_parliament/45534495241/

Mancano 20 giorni al voto europeo ma è facilmente prevedibile che nella governance dell’Unione la mattina del 27 maggio sarà cambiato poco o nulla. Si aprirà una fase di 5-6 mesi di negoziati complicati che sicuramente porteranno nomi nuovi ai vertici delle istituzioni europee, ma non ne modificheranno né la struttura né i meccanismi di governo. Impatti significativi si potranno invece avere a livello politico nei singoli paesi, a cominciare dall’Italia, ma anche in Francia, Spagna, Germania, etc. Come in un gioco di carambola, il test elettorale indurrà chi prende più voti a incassare il vantaggio ciascuno in casa propria, magari aprendo la strada a elezioni anticipate. Ma l’Europa resterà quelle che conosciamo, o forse non conosciamo abbastanza. La governance dell’Unione non somiglia a nessuna delle altre in vigore nei paesi sviluppati. Non è una democrazia parlamentare come in Usa e negli stessi singoli paesi che la compongono. Se fosse una società di capitali, non somiglierebbe a una public company, ma piuttosto a una struttura societaria basata su una holding non quotata, costituita dal Consiglio Europeo oggi presieduto dal polacco Donald Tusk, dove siedono i capi di Stato e di governo dei 28 dell’Unione più il presidente della Commissione e l’alto rappresentante per gli Affari Esteri, ma di fatto comandano quelli del ‘patto di sindacato’ composto da Germania, Francia e satelliti, i tre del Benelux a cui più di recente si sono aggiunti Finlandia e i Baltici.

UNA HOLDING IN CIMA ALLA CATENA


Il Consiglio non è eletto se non molto indirettamente e a livello nazionale, ma ha il potere di nomina del presidente della Commissione, dell’esecutivo, e dei 27 commissari. Alcuni di questi non contano nulla, altri sono molto potenti, a cominciare da quello alla Concorrenza, oggi Daniele Vestager. Le loro nomine devono essere comunque approvate dal Parlamento. Consiglio e Commissione preparano direttive e regolamenti, che poi finiscono in Parlamento. Poi c’è il governo della moneta unica, affidato alla Bce, ma sui parametri di bilancio che vanno rispettati per farne parte vigila l’Eurogruppo, composto dai ministri delle Finanze dei 19 membri dell’euro, ma ha voce in capitolo anche l’Ecofin, vale a dire la sotto-componente del Consiglio a livello di ministri delle Finanze. Fin qui sotto la holding controllata dal patto di sindacato abbiamo società operative non quotate. Poi c’è il Parlamento, l’unico pezzo di governance quotato sul mercato elettorale, che negli altri sistemi politici è la fonte del potere legislativo e la legittimazione dell’esecutivo, mentre nel caso della UE è a valle del processo.

INTERESSI NAZIONALI E DI PARTE POLITICA


Se la UE e l’Eurozona fossero società di capitali operanti sul mercato, una governance così fatta finirebbe immediatamente nel mirino di regolatori e autorità di controllo perché contraddice tutti i principi di trasparenza e di pari dignità di tutti gli azionisti. Ma va ricordato soprattutto per avere chiaro cosa può succedere dal 27 maggio in poi. Succede che a livello di patto di sindacato si comincia a discutere sui nomi, ma anche sull’appartenenza politica e nazionale, dei nuovi vertici che dovranno subentrare a novembre a Juncker, Tusk, Draghi e a tutta la struttura di governo che abbiamo descritto sopra. Una volta trovato l’accordo, si cercherà di allargare il più possibile il consenso agli altri azionisti, con un gioco di promesse e concessioni da parte delle nuovi istituzioni europee. Ovviamente in queste trattative ciascun attore, ma soprattutto quelli del patto di sindacato, cercheranno di portare a casa il massimo, non tanto in termini di interessi nazionali rappresentati dai singoli capi di governo del Consiglio, ma ancora di più in termini di interesse delle parti politiche che all’interno delle singole nazioni rappresentano.

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PRECEDENTI ITALIANI IMPORTANTI AI VERTICI


Il rinnovo del vertice della Bce, composto da sette membri, fa parte a pieno titolo di questa partita, e come tutte le altre strutture di governance di primo piano viene scelto dai 19 capi di governo dell’Eurozona, vale a dire ancora una volta il patto di sindacato, che alla fine coincide sempre con quello dei 28 dell’Unione. L’Italia fa parte del patto di sindacato? Diciamo che è un componente ‘esterno’. Formalmente non lo è mai stato, sicuramente non negli ultimi anni, diciamo dal governo Renzi in poi. Ma resta un grande paese fondatore dell’Unione, e un italiano può rappresentare un compromesso utile e accettabile per gli azionisti ‘core’, come dimostrano i casi di Romano Prodi alla presidenza della Commissione alla fine degli anni 90, di Mario Monti super-commissario alla concorrenza nello stesso periodo, di Mario Draghi alla guida della Bce dalla fine del 2011, fino ad Antonio Tajani alla presidenza del Parlamento. Nel round che si sta per aprire non sembra destinata a giocare un ruolo da protagonista, soprattutto se il risultato elettorale dovesse far salire la tensione politica fino a causare una crisi di governo.

BOTTOM LINE


La governance europea è sostanzialmente una struttura a più piani. Nei piani bassi, vale a dire il Parlamento per il quale stiamo per andare a votare, le azioni si contano. Ad ogni paese toccano sempre le stesse, ma singoli partiti o alleanze possono aumentarle o diminuirle. Ai piani alti invece, dove sta il patto di sindacato, si pesano. E sui pesi il voto può influire solo molto indirettamente. Per quanto riguarda i mercati, la nuova governance che arriverà a novembre sarà giudicata molto più sui nomi, sulla loro autorevolezza e affidabilità, che sul come ci si sarà arrivati.
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