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Uber, Ipo a 45 dollari: luci e ombre della regina degli unicorni

C’è attesa per l’Ipo dell’anno, un’azienda che non produce utili ma che aspira a diventare una nuova Amazon. Ci riuscirà? I pro e i contro dell’operazione da 82 miliardi di dollari

di Giancarlo Salemi 10 Maggio 2019 07:00
financialounge -  IPO Morning News uber Wall Street https://www.flickr.com/photos/senatormarkwarner/19588717540

La regina degli unicorni, così è stata ribattezzata Uber, è finalmente pronta per il suo debutto oggi a Wall Street. L’applicazione che sta trasformando la mobilità nell’era della sharing economy, avrà un prezzo di collocamento che di 45 dollari ad azione, nella fascia bassa della forchetta indicata nella fase di collocamento (andava dai 44 ai 50 dollari per titolo). A pesare sulla scelta il cattivo andamento di Wall Street, in calo anche ieri per la quarta volta di fila, su tutti gli indici principali, con le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina che restano il market mover principale, nonostante il presidente Donald Trump abbia cercato di fare un po’ il pompiere dicendo di avere ricevuto una lettera "bellissima" dal presidente cinese Xi Jinping sulla possibilità di trovare un accordo sui dazi tra i due paesi. Con questo prezzo, Uber varrà 82 miliardi di dollari, molto lontano dai 120 miliardi ipotizzati ancora qualche settimana fa dalle banche Goldman Sachs e Morgan Stanley.

TERZA BIG COMPANY, DOPO FACEBOOK E ALIBABA


Resta comunque una valutazione notevole quella di Uber, al terzo posto nelle Ipo hi-tech dopo Facebook che, al suo debutto in borsa nel 2012, raggiunse una capitalizzazione di 104 miliardi di dollari e di Alibaba che è stato valutato 168 miliardi nel 2014. Certo una quotazione monstre che è anche un po’ disarmante se si pensa che Uber ha chiuso il bilancio 2018 con una perdita operativa di 1,8 miliardi di dollari e ha accumulato fra il 2016 e il 2018 perdite complessive per 10 miliardi. O se si considera il rivale, Lyft, collocata a un prezzo di 72 dollari, ma in poche settimane già scesa del 19% a 58 dollari. Ma non solo. Un’altra azienda tech che ha deluso le aspettative è Snap, la società che possiede la piattaforma di messaggistica Snapchat: cinque mesi prima dell’Ipo era valutata 40 miliardi di dollari. Quando poi nel 2017 sbarcò a Wall Street, il suo valore era dimezzato a 20 miliardi. “Uber è la principale società di ridesharing al mondo. Nonostante abbia avuto qualche anno difficile e problemi di reputazione, ora, con un cambio ai vertici e una struttura di governance rigorosa, sembra aver voltato pagina – ci spiega Anthony Ginsberg, Fondatore e Direttore Generale di Gins Global Index Funds. La partnership con McDonald’s e il fatto che la sua controllata Uber Eats abbia una quota di mercato del 25,2% negli USA tra le piattaforme per la consegna di cibo mostrano che l’azienda ha grandi progetti di sviluppo”.

NO UTILI, NO PARTY? MA IL MODELLO E’ COME AMAZON


Nonostante Uber abbia raggiunto un fatturato di 11,3 miliardi nel 2018, in crescita del 43% sull’anno precedente, è una società in continua perdita: ha chiuso il bilancio 2018 con una perdita operativa di 1,8 miliardi di dollari e ha accumulato fra il 2016 e il 2018 perdite complessive per 10 miliardi. Ma tutto questo non sembra far paura agli investitori. “Uber segue la strada tracciata da Amazon – continua Ginsberg - a quest’ultima sono occorsi più di 14 anni, esattamente 58 trimestri dopo l’Ipo del maggio 1997, per arrivare –complessivamente– allo stesso ammontare di profitti registrati nel primo trimestre 2019.Per diversi anni dopo essersi quotata, infatti, Amazon ha continuato sistematicamente a perdere denaro”. Già il modo in cui si muove ora Uber probabilmente rispecchierà quanto già visto con Amazon, per la quale la lotta sulle quote di mercato ha inizialmente avuto la priorità rispetto a generare profitti. “Quando aziende tecnologiche così rivoluzionarie si espandono su scala mondiale, aumenta l’esborso di capitale in ragione della costruzione dell’infrastruttura e della distribuzione. In questa fase il dato interessante da analizzare non è quello dei profitti complessivi, quanto piuttosto il margine di profitto tipicamente guadagnato su ciascuna corsa effettuata. Alla fine è la scalabilità a livello mondiale di queste corse tipo che assicurerà ad Uber un successo nel lungo termine”.

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TROPPA EUFORIA: UBER SEMBRA ANCORA UNA STARTUP SENZA SOLIDITÀ FINANZIARIA


Tutto bene? Non esattamente. “Uber ha perdite tipiche di un’impresa ancora da startup, nonostante stia sul mercato da oltre 10 anni – ci spiega Vincenzo Longo, market strategist di Ig Group - Questo è un elemento da non sottovalutare. La società sta diversificando giustamente la sua offerta con servizi di sharing ad altri settori dell’economia, anche se paga il fatto di operare in un comparto dove le barriere d’ingresso sono praticamente basse, chiunque attraverso un’applicazione potrebbe replicarne il business”. Un problema come agli unicorni - quelle società della gig economy che superano il miliardo di dollari – che crescono ad un ritmo impressionante cavalcando l’onda delle nuove tecnologie, ma poi non riescono a diventare veramente grandi anche da un punto di vista della solidità finanziaria e a modellare il proprio business con regole più stringenti. Forse l’approdo a Wall Street servirà ad Uber proprio a questo. “Siamo in una fase molto calda per questi settori e questi titoli della nuova economia, possono essere facilmente surriscaldati da aspettative – conclude Longo – per questo bisogna essere molto cauti nell’investimento. C’è molta overconfidence e una certa esuberanza irrazionale. Insomma l’euforia non è sempre sinonimo di affari”.

 
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